Cina, nuove condanne per gli uighuri. Pechino grida al terrorismo islamico

8 Dic 2014 18:30 - di Giovanni Trotta

La Cina comunista prosegue nella sua repressione, che non è più solo politica ma sta assumendo connotati etnici e religiosi. Il governo cinese aveva promesso di colpire duro e sta mantenendo la parola. Nell’instabile regione del Xinjiang, patria della minoranza etnica degli uighuri, turcofoni e di religione islamica, piovono le condanne a morte e le esecuzioni sono sempre più frequenti. Le otto emesse in queste ore a Urumqi insieme a cinque ergastoli e a quattro a diverse pene detentive sono solo le ultime di una lunga catena. Un calcolo preciso è impossibile, perché in Cina il loro numero è considerato un segreto di Stato.

Il numero delle esecuzioni è un segreto di Stato

Basandosi sulle notizie uscite sui media cinesi, si arriva a un totale di oltre 50 tra condanne ed esecuzioni, che probabilmente rappresentano solo una frazione del numero totale. In giugno, in due diversi processi, sono state comminate un totale di 12 condanne alla pena capitale, mentre 13 condannati sono stati messi a morte. In agosto, la stampa governativa ha annunciato l’avvenuta esecuzione di otto persone. In settembre sono state comminate tre condanne a morte per l’attentato del primo marzo a Kunming, nella Cina meridionale, nel quale un gruppo di terroristi uighuri uccise a coltellate 29 civili cinesi in una stazione ferroviaria. Due adolescenti sono in seguito stati condannati al patibolo, sempre in settembre, per l’assassinio di un imam filogovernativo a Kashgar. Altre 12 condanne a morte sono state comminate in ottobre, prima delle otto di cui si è avuta notizia ora. «Quello che è sicuro è che rispetto al terrorismo quello che vediamo è un aumento drammatico delle condanne a morte», sostiene William Nee, ricercatore di Amnesty International per la Cina.

Pechino accusa gli uighuri di terrorismo islamico

La situazione nel Xinjiang, una regione ricca di materie prime che si trova in una posizione strategica ai confini con l’Asia meridionale e centrale, è in controtendenza rispetto a quella generale della Cina, dove il numero delle condanne a morte rimane il più alto del mondo ma è sceso dopo l’introduzione, nel 2007, dell’obbligo di conferma delle condanne da parte della Corte Suprema. Secondo Dui Hua (Dialogo), un’organizzazione umanitaria che segue il sistema giudiziario e carcerario cinesi, le condanne sono passate dalle seimila del 2007 alle circa 2400 dell’anno scorso. Gli uighuri affermano di essere lasciati ai margini dello sviluppo economico i cui benefici andrebbero tutti agli immigrati cinesi, che negli ultimi decenni sono diventati la porzione maggioritaria della popolazione. Dal 2009, quando quasi 200 persone furono uccise in scontri etnici, la violenza non ha fatto che aumentare. Attentati di gruppi di uighuri contro cittadini cinesi si sono verificati fuori dal Xinjiang. Il governo cinese accusa per gli attentati gruppi terroristici legati all’internazionale islamica del terrore.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *