E adesso chi salverà i romani dal “marziano” Marino?

11 Dic 2014 20:31 - di Renato Berio

Un primo, deleterio, effetto politico dell’inchiesta Roma Capitale è sotto gli occhi di tutti: Ignazio Marino resiste, anzi Ignazio Marino è addirittura “risuscitato”. Il Pd capitolino che prima lo detestava, sommerso dalle rivelazioni sulla “cricca” delle coop, ora ne fa un baluardo di legalità. Non hanno una politica di ricambio, cosa che la destra – altrettanto colpita dall’inchiesta – può invece provare a sperare (puntando su Giorgia Meloni o su Alfio Marchini) e sanno che se si va al voto ancora meno romani si recheranno alle urne. Al ballottaggio che elesse Marino, del resto, si presentò ai seggi solo il 45% degli aventi diritto al voto. All’epoca si fecero molte chiacchiere sulla necessità di riconquistare la fiducia degli elettori e abbiamo visto com’è andata a finire.

Chi si ricorda di Di Stefano?

Anche per Marino, il sindaco che parla di sé in terza persona come se fosse un monarca, vale il teorema del “non poteva non sapere”. Egli è comunque esponente di un Pd che oltre all’ex assessore Daniele Ozzimo, l’ex presidente del consiglio comunale Mirko Coratti e l’ex presidente della commissione regionale Cultura, Eugenio Patanè, vede sotto inchiesta per corruzione anche il deputato renziano Marco Di Stefano, uno che a Roma spostava ingenti quantità di consensi. Ma Marino sa che per l’intero paese sarebbe uno smacco lo scioglimento del consiglio per infiltrazioni mafiose (ci sarebbero controindicazioni economiche pesanti che rendono il passaggio assai rischioso) e conta su questo puntello per continuare a fare quello che ha sempre fatto, cioè nulla, tranne operazioni di immagine come quella di fare entrare in giunta il giudice Alfonso Sabella, con l’incarico di  occuparsi di legalità, trasparenza e appalti.

I problemi irrisolti restano tutti

Eppure i problemi irrisolti restano tutti sul tappeto, coperti dal polverone mediatico che si è alzato sull’ex sindaco Alemanno, sul “Nero”e sulle cronache di mafia capitale. Altro effetto politico dell’inchiesta – sacrosanta purché sia rapida – è che tra un po’ si dirà che nelle periferie si vive benissimo e che i rom sono tutti angioletti. In pratica l’inchiesta di Pignatone viene usata come una grande coperta che nasconde le crepe di una politica immobile e melmosa, dove il “marziano” Marino si è comodamente sistemato.

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