Elezioni, Renzi ha poco da festeggiare. Ecco i 5 motivi della sua “sconfitta”

24 Nov 2014 17:56 - di Desiree Ragazzi

Il centrosinistra alle elezioni regionali si aggiudica l’Emilia Romagna e la Calabria, ma è il partito del non voto a vincere, su questo tutti gli osservatori della politica sono concordi: solo quattro cittadini su dieci sono andati a votare, con un crollo mai visto nella storia soprattutto in Emilia, storica roccaforte del Pd. Solo Matteo Renzi fa finta di nulla ed esulta. In prima battuta ha affidato a Twitter le sue considerazioni sulle regionali, nella notte, a spoglio in corso: «Male affluenza, bene risultati: 2-0 netto. 4 regioni su 4 strappate alla dx in 9 mesi. Lega asfalta Forza Italia e Grillo. Pd sopra il 40%». Poi, quando i dati sono diventati certi e i numeri hanno dimostrato un calo del Pd, a fronte anche del forte astensionismo, il premier non ha cambiato linea: «La non grande affluenza è un elemento che deve preoccupare ma che è secondario. Checché se ne dica oggi non tutti hanno perso: chi ha contestato le riforme può valutare il suo risultato. Il mio interesse non è mettere le bandierine ma affrontare i problemi degli italiani». In realtà, numeri alla mano, è lui il grande sconfitto. Ecco perché, in cinque punti.

1) Urne deserte. Le regionali in Emilia Romagna passeranno alla storia come l’elezione meno partecipata della storia elettorale di una Regione che ha sempre brillato per la fedeltà ai seggi. Ha votato appena il 37,7% degli aventi diritto: una percentuale inferiore di 30 punti rispetto alle regionali del 2010 e addirittura di 32 rispetto alle Europee di sei mesi fa, quando andarono a votare poco meno del doppio degli elettori delle regionali. L’Emilia-Romagna, peraltro, ha votato meno rispetto anche alla Calabria che ha avuto un’affluenza del 44,10% (contro il 59,26% delle regionali del 2010, quando si votò in due giorni). In Calabria ha votato dunque circa il 6% degli elettori in più dell’Emilia-Romagna. Un dato su cui Renzi avrebbe dovuto fare anche una riflessione.

2) Voti persi. In un solo colpo in Emilia il Pd ha perso 700mila voti. Questi sono numeri. Nulla da dire?

3) Primarie fallite. Il sistema delle primarie, messo nelle mani di Renzi (che da quel sistema era stato incoronato) si è rivelato un fallimento. Il candidato presidente dell’Emilia Romagna eletto con le primarie non è andato oltre il 49%. Tanto che lo stesso Bonaccini valutando l’astensionismo ha commentanto: «Non si può essere certo soddisfatti». Mentre il candidato presidente della Calabria, il bersaniano Oliverio, sostenuto da otto liste, ha fatto il pieno di voti. Oliverio si era imposto nelle primarie del centrosinistra, battendo Gianluca Callipo (renziano) e Gianni Speranza (Sel) con il 55,1 per cento dei voti.

4) Governo più debole. La sconfitta regionale del maggior alleato del Pd al governo l’Ncd non può far felice Renzi e sicuramente avrà delle ripercussioni sul governo. Quindi ha ben poco da gioire quando dice che Lega in Emilia Romagna “ha asfaltato il centrodestra”. Chi glielo spiega ad Alfano che governare con Renzi, in silenzio, fa bene al suo partito?

5) Il boicottaggio della Cgil. Le frizioni sul Jobs act e i continui litigi tra Cgil, Fiom e governo si sono fatti sentire e hanno determinato un ulteriore crollo dei voti. Tanto che lo stesso presidente Bonaccini ha protestato: «Il leader della Fiom ha espressamente incitato a non votarmi, ma si votava per l’Emilia Romagna e non per il governo. Anche qualcuno della Cgil ha fatto lo stesso ma andiamo avanti per il cambiamento».

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