Dal Calippo al cono gelato, la politica di serie B passa per il gossip

5 Nov 2014 18:36 - di Guglielmo Federici

Una sequenza fotografica che ritrae una persona che gusta un cono gelato. Niente di strano, se non fosse che la persona è una donna e un ministro della Repubblica, Marianna Madia, e che il titolo che l’accompagna è non troppo velatamente allusivo: “Ci sa fare col gelato”. Quanto basta per far scoppiare il linciaggio mediatico  nei confronti del settimanale reo della pubblicazione, il mondadoriano Chi, diretto da Alfonso Signorini, ora nell’occhio del ciclone. Gli indignati tweet e post su Facebook sono centinaia: “spazzatura”, “becero”, “maschilista”, “vergognoso”, “porcheria” sono solo alcuni degli appellativi rivolti al settimanale. «E questo sarebbe giornalismo?», si chiedono gli indignati. E un giornalista risponde con tono melodrammatico: «È per queste cose che mi viene voglia di strappare il tesserino».

La replica di Signorini:#duepesiduemisure

Signorini si difende con un Twitter, una singola cinguettata: «Calippo sì, gelato no? #duepesiduemisure». Chiaro il riferimento al servizio pubblicato tempo fa da Oggi, gruppo Rcs, che riproponeva vecchie immagini di Francesca Pascale che mangiava un Calippo, il noto ghiacciolo. Il popolo-web non si alterò in quell’occasione, tutti zitti nonostante quelle foto fossero state ripescate dal passato, ossia risalenti a un periodo in cui la donna non era ancora la fidanzata di Silvio Berlusconi. Sessismo, maschilismo e volgarità di certi rotocalchi andrebbero stigmatizzati sempre e per tutti, se si vuole estirparli. 

La solidarietà al ministro

Intanto è bufera e arrivano, nell’ordine, la solidarietà di Giovanna Martelli, deputata Pd e consigliere per le Pari Opportunità e di seguito arriva la schiera delle senatrici del Pd: «Vergogna -scrivono –  L’Italia che ha in mente il settimanale della Mondadori è quella delle caverne e degli uomini primitivi». Si accoda poi il sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova che si accorge che «la misoginia, il sessismo, la volgarità purtroppo sono la cifra prevalente di certo giornalismo».

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