Cina, manifestarono contro la censura comunista: alla sbarra

29 Nov 2014 15:10 - di Priscilla Del Ninno

La censura nella Cina comunista è uno spauracchio quotidiano e al tempo stesso lo spettro di un tabù dalle antiche ascendenze: sempre e comunque un pericolo che implica drammatiche conseguenze. Inutile tentare di rinnegarla o, peggio ancora, di trasgredirne i precetti, magari provando anche semplicemente ad aggirarne gli ostacoli. E a dimostrarlo, una volta di più, è l’ultimo caso che ha coinvolto due attivisti accusati di aver organizzato manifestazioni contro il bavaglio di regime: per loro, l’incubo e la farsa di un processo dalla sentenza praticamente annunciata è appena all’inizio.

Il processo agli attivisti

I protagonisti – e vittime – della vicenda sono Guo Feixong e Sun Desheng (i nomi con i quali sono conosciuti Yang Maodong e Sun Sihuo), e rischiano fino a cinque anni di carcere per aver creato «disturbo dell’ordine pubblico», la formula molto spesso usata dalle autorità cinesi per condannare gli oppositori al regime. I due sono “colpevoli” di aver sostenuto le proteste di centinaia di persone l’anno scorso a gennaio contro la decisione governativa di censurare un editoriale del giornale di Canton (ora Guangzhou) Southern Weekend, critico nei confronti delle autorità. In quell’occasione, Tuo Zhen, leader del Dipartimento per la propaganda del Guangdong, la provincia meridionale dove viene pubblicata la testata, ordinò la rimozione dell’articolo che sosteneva la necessità di riforme, per sostituirlo con uno scritto di suo pugno, e naturalmente favorevole alle iniziative di governo. La cosa – che era impossibile passasse inosservata – portò i giornalisti alla protesta: e con loro scesero in piazza centinaia di persone. Naturalmente la folla “pericolosamente tumultuosa” fu immediatamente ridotta al silenzio e, a seguito delle retate delle forze dell’ordine contro i sostenitori delle rimostranze di piazza, Guo Feixong detenuto per 15 mesi. Ora lo attende il processo, appena cominciato venerdì mattina alle 9, e andato avanti tutta la notte.

Un bavaglio collaudato dalla storia

Ma questo, purtroppo, è solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di repressione e silenzio. Di censura mediatica e di dittatoriale cultura della propaganda di uno storico e collaudatissimo sistema di controllo assoluto: quello della Cina comunista. Un complesso meccanismo a ingranaggi multipli e dalle molteplici applicazioni che, dai banchi di scuola al web, passando attraverso i canali dell’informazione di regime e per le proposte spettacolari, tutto controlla e reprime meticolosamente, pur di negare spazi – anche minimi – al dissenso. Al confronto dialettico. Alla libera di circolazione delle idee. Uno schema di controllo e di sanzionamento articolato e collaudato nel tempo, e applicato con successo – solo per citare gli ultimi eclatanti casi – dagli accadimenti di Tienanmen alla interminabile lotta per l’autonomia del Tibet, fino alle rivendicazioni dello Xinjiang, ai più famosi episodi di repressione di regime. Un sistema multitasking particolarmente efficace che in un breve arco di ore riesce a rimuovere un contenuto sgradito da qualunque anfratto della piattaforma mediatica. Ad azzerare l’iniziativa di qualunque volenteroso oppositore.

 

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