Morì in un carcere francese: condannati medico e infermiera

29 Ott 2014 20:31 - di Giovanni Trotta

Sentenza storica: il tribunale di Grasse in Francia ha condannato a un anno di reclusione, pena sospesa, nonché a un anno d’interdizione dalla professione di medico, Jean Paul Estrade, ritenuto responsabile della morte dell’italiano Daniele Franceschi di 33 anni, avvenuta nel carcere francese di Grasse il 25 agosto 2010. Condannata anche l’infermiera Stephanie Colonna, sempre un anno di reclusione con pena sospesa e un anno di interdizione dalla professione. È stata invece assolta dalle accuse l’altra infermiera, Françoise Boselli. Assolto anche l’ospedale civile di Grasse. Il 2 marzo 2015 verrà invece comunicato il risarcimento per la famiglia.

I legali: sentenza storica per la Francia

Cira Antignano, la madre del ragazzo, presente in aula, alla lettura della sentenza si è commossa e ha ribadito che intende avere la restituzione degli organi del figlio. La donna era accompagnata dai legali Aldo Lasagna e Maria Grazia Menozzi. «Per la Francia è una sentenza storica: come hanno confermato anche i nostri colleghi francesi, è la prima volta che è stato condannato un medico e una infermiera di un carcere in Francia», ha detto l’avvocato che ha difeso la madre del ragazzo viareggino. «Nessuno mi restituirà Daniele ma adesso anche se le pene sono state ridotte rispetto alla richiesta è arrivata una sentenza che ha riconosciuto le responsabilità di chi avrebbe dovuto fare e non ha fatto nulla per salvare la vita al mio Daniele», ha detto la mamma di Daniele commentando la sentenza che ha condannato per omicidio involontario un medico e un’infermiera.

La mamma si commuove ringrazia tutti

Cira Antignano ha ringraziato «tutti coloro che mi sono stati vicino in questo lungo percorso fatto di dolore, fra questi i familiari delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio. Ci siamo fatti coraggio e forza assieme, perché siamo stati lasciati soli, anche in questo mio ultimo viaggio in Francia», sottolineando di essere stata «completamente abbandonata dalle istituzioni alle quali mi sono rivolta nel corso di questi anni».

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