La manovra di Capitan Fracassa: Renzi “spara” 36 miliardi. Ma il nodo ora è a Bruxelles

15 Ott 2014 21:26 - di Aldo Di Lello

Non sarà di 30, come annunciato  da giorni, ma di 36 milardi  l’entità della manovra economica decisa dal governo con il varo della legge di stabilità. L’astuta strategia mediatica di questi giorni permetterà a Renzi di gonfiare il petto e di parlare di manovra ambiziosa, esibendo il «taglio» di 18 miliardi di tasse: il bonus di 80 euro diventa stabile ma cambia pelle, trasformandosi in “detrazione”. È anche stabilito il taglio dell’Irap di 6,5 miliardi:  il costo del lavoro sarà deducibile dall’imposta ( le Pmi, cioè il 70 % delle imprese,  riceveranno però  benefici irrisori). La vita delle piccole e medie imprese verrà inoltre complicata dal Tfr in busta paga, altra misura inserita nella legge di stabilità. Le altre riduzioni riguardano gli sgravi per le famiglie più bisognose, l’abbattimento dei contributi nell’arco di 3 anni per i nuovi assunti.

Ma come verrà finanziata una manovra di così grande suggestione “spettacolare” ? Dalla spending review il governo conta di ottenere 15 miliardi (2 in più di quelli annunciati nei giorni scorsi) . Il resto ha un sapore “antico”. Una parte arriverà dal deficit (il governo sposterà al 2,9 per cento il deficit tendenziale del 2,2).  Un’altra parte verrà  dalla solita lotta all’evasione fiscale. Insomma, ulteriore indebitamento  e introiti quanto mai aleatori: le basi della legge di stabilità 2015 sembrano decisamente  fragili.

Sul testo licenziato dal governo incombe inoltre  il giudizio della Commissione Ue. La legge verrà spedita a Bruxelles contestualmente al suo invio al Parlamento italiano. È previsto che il responso giunga il 29 ottobre  e, secondo le voci insistenti di questi giorni, sarà con ogni probabilità negativo. La materia più spinosa è quella del cronoprogramma di riduzione del debito. Il governo intende destinare alla riduzione del deficit strutturale lo 0,1 per cento delle risorse per il 2015, pari a 1,5 miliardi euro. Bruxelles si attende invece una riduzione dello 0,5-0,7  sulla base dell’impegno assunto dal governo italiano nei primi mesi del 2014. Ma, all’inizio dell’anno, la stima di crescita del Pil era dello 0,8 per cento, mentre invece il saldo finale sarà negativo, intorno a -0,3 per cento. Di qui la decisione di Renzi e Padoan di ridefinire l’impegno per  l’anno prossimo e di rinviare al 2017 il pareggio di bilancio, come stabilito dal Def.

Difficilmente però Bruxelles accetterà la revisione del programma, revisione motivata appunto dalla correzione al ribasso delle stime. La speranza del governo è ora di sfruttare le opportunità concesse dal passaggio del testimone ai vertici della Commissione. Il presidente uscente, José Manuel Barroso, è schierato su posizioni rigoriste, mentre invece il subentrante, Jean Claude Juncker (assumerà l’incarico il 1° novembre), sarebbe più possibilista e flessibile. Nella giornata di martedì 14 febbraio , al diffondersi delle voci del probabile niet di Bruxelles, Renzi ha telefonato al neopresidente. Secondo varie indiscrezioni la nuova Commissione si “accontenterebbe” di una riduzione del debito del 2,5 per cento, pari a 4 miliardi. Tutti hanno negato una “trattativa” tra Roma e Bruxelles. Ma, sempre martedì scorso, Padoan ha fatto sapere che nella legge di stabilità è prevista una “riserva” di 2,5 miliardi. E 1,5 più 2,5 fa appunto 4. È stata una dichiarazione casuale quella del ministro dell’Economia? Lo sapremo presto. Se le cose andassero diversamente, sarebbero dolori per l’Italia, che potrebbe incorrere nella procedura per squilibri macroeconomici. 

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