Grillo prova a guidare la rabbia, ma stavolta è Genova a regalargli un Vaffa

14 Ott 2014 16:36 - di Mario Aldo Stilton

Dice il saggio che quando la rabbia monta, quando la speranza cede alla frustrazione e alla stanchezza non c’è niente da fare: ti contestano. Contestano tutto e tutti. Contestano perciò anche il contestatore. Com’è successo a Grillo. Al Beppe del vaffa day che adesso il vaffa se l’è visto vomitare addosso da quei ragazzi sporchi di fango e sudore che da giorni cercano di ripulire Genova. Sfanculato  da chi davvero soffre. E non via web, non tramite post, mail, sms, WhatsApp, Viber o qualsivoglia altra diabolica applicazione. No, questa non è una contestazione che corre lungo la banda. Stavolta è de visu.  Faccia a faccia. Proprio da quegli Angeli del fango che si stanno a fare un mazzo così. Perciò anche il capitanfracassa a cinque stelle ha avuto il suo battesimo del fuoco. E adesso finalmente vede di che sudore e di che sangue grondi la strada della politica. È probabile che non se l’aspettasse. Probabilmente pensava a qualche sorriso prima e tanti applausi poi. Magari  immaginava di porsi alla testa del malcontento. Ma quando appunto il malcontento non è indirizzato, diretto, quando è spontaneo e motivato bisogna saper ponderare. Invece, dopo la tre giorni festaiola del Circo Massimo, dopo aver rivitalizzato un movimento in panne con due parole d’ordine oggettivamente efficaci come la guerra all’euro e il reddito di cittadinanza, Grillo ha voluto strafare. Ha provato a fare scopa. Proprio nella sua città prostrata dall’ennesima esondazione. E ha sbagliato. Come capita a chi eccede, a chi è troppo sicuro. E non è servito a nulla dare  la colpa alle tv carogne che ti inseguono ovunque, come non ha fatto breccia la boutade delle interviste a duemila euro a botta da stornare poi ai concittadini alluvionati. Avrebbe dovuto pensarci bene e meglio il Beppe. Avrebbe dovuto pensarci prima. Prima, quando era su quella gru che l’ha issato in cielo a ululare alla luna capitolina. Avrebbe dovuto lasciare quella massa umana venuta a sentire il comico che si è fatto politico a bocca asciutta. Senza gag e senza spettacolo gratuito. Avrebbe dovuto scappare a Genova. A spalare la melma dalle strade. In silenzio. Senza proclami. Come un vero capopopolo. Magari portandosi dietro quel fighetto di Di Maio e costringendolo a sporcarsi le mani. Senza telecamere.

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