La deposizione di Napolitano: gli attentati della mafia furono un ricatto

31 Ott 2014 14:30 - di

È stata depositata, presso la cancelleria della Corte d’Assise di Palermo, la trascrizione della deposizione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al processo sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia, avvenuta al Quirinale martedì scorso. Nella sua testimonianza, riferendosi agli attentati dell’estate 1993 a Roma e Milano, il capo dello Stato ha detto ai giudici: «La valutazione comune alle autorità istituzionali in generale e di governo in particolare fu che si trattava di nuovi sussulti di una strategia stragista dell’ala più aggressiva della mafia, si parlava allora in modo particolare dei Corleonesi, e in realtà quegli attentati, che poi colpirono edifici di particolare valore religioso, artistico e così via, si susseguirono secondo una logica che apparve unica e incalzante, per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut-aut, perché questi aut-aut potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure soprattutto di custodia in carcere dei mafiosi o potessero avere per sbocco la destabilizzazione politico – istituzionale del Paese e naturalmente era ed è materia opinabile». «Quindi lei ha detto – ha chiesto il pm Di Matteo – che si ipotizzarono subito la matrice unitaria e la riconducibilità ad una sorta di aut-aut, di ricatto della mafia, ho capito bene?». Napolitano: «Ricatto o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema».

D’Ambrosio e Falcone

Nelle 86 pagine della trascrizione, che si riferiscono a tre ore di deposizione, il presidente della Repubblica ha parlato di Loris D’Ambrosio (il consigliere giuridico di Napolitano, ndr). D’Ambrosio – morto il 26 luglio del 2012 a causa di un infarto poco prima di deporre dinanzi alla commissione Antimafia sui contenuti delle conversazioni telefoniche fra lui e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino – in una lettera trasferì tutti i suoi dubbi a possibili «indicibili accordi» avvenuti tra il 1989 e il 1993. Il pm Teresi ha chiesto al capo dello Sato: «Lei notò una differenza di contenuti tra il contributo in bozza, che le diede prima della pubblicazione, e quello che invece fu poi effettivamente pubblicato nel libro della signora Falcone?» (Maria Falcone è la sorella del giudice Giovanni Falcone, ndr) . Napolitano: «Di analogo sostanzialmente c’era soltanto lo scrupolo, lo spirito di verità che animava il dottor D’Ambrosio, perché lui in effetti usa in quella lettera, anche in alcuni momenti, un linguaggio forte quando dice “io sono convinto che qualcuno sapeva”, aveva saputo che quel viaggio a Palermo sarebbe stato tra gli ultimi, sarebbero diventati meno frequenti a seguito del trasferimento della sua consorte a Roma per la Commissione. Per il concorso in magistratura. E lui dice: “qualcuno quindi lo sapeva”. Altra cosa per cui esprime con grande forza, in contatto con quello che ho appena accennato e riassunto in queste righe: nessuno mi convincerà mai che altri non sapessero che da quel sabato i viaggi a Palermo si sarebbero diradati. E poi, con eguale quasi drammaticità, egli parla della possibilità, che ad un dato momento sembrò reale, in contrasto con prese di posizione precedenti, di veder nominato a procuratore Antimafia precisamente il dottor Giovanni Falcone».

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