Cgil in piazza (con mezzo Pd). Ma senza il nemico di destra rischia il flop

24 Ott 2014 17:02 - di Luca Maurelli

Dodici anni fa e sei mesi fa, il 23 marzo del 2002, andava in scena la più imponente manifestazione sindacale della storia d’Italia: oltre tre milioni e mezzo di persone in piazza per dire no alla riforma dell’articolo 18 proposta dal governo Berlusconi, su insistenza dell’allora presidente di Confindustria Antonio D’Amato. Domani la Cgil, da sola, ci riproverà, ma in versione bonsai e col rischio di un clamoroso flop di partecipazione, almeno in confronto a precedenti, storiche iniziative contro i governi, soprattutto quelli di centrodestra. Il sindacato chiamerà a Roma i suoi militanti per provare a fermare il Jobs Act del governo Renzi che al primo posto contiene proprio la riforma di quella norma dello Statuto dei Lavoratori che impedisce il licenziamento senza una giusta causa. Senza coltivare particolari ambizioni, però, navigando basso, molto basso, sfruttando i nuovoi mezzi social (#tutogliioincludo) per poi eventualmente gridare al successo in caso di risultati superiori alle aspettative. La spallata al governo, Susanna lo sa, è solo una chimera: la Camusso si accontenterebbe di un pareggio in trasferta strappato con le solite barricate.

Il fuoco amico reciproco tra Pd e Cgil

In assenza di un nemico riconoscibile, ideologico, marcatamente ostile, stavolta la Cgil e l’agguerritissima Fiom vanno per obiettivi minimi: dimostrare di esistere, in una fase in cui la triplice incide come il tre di briscola nel dibattito politico; spaccare il Pd portando in piazza i pochi dissidenti non saltati sul carro di Matteo Renzi; mettere insieme almeno trecentomila persone per dimostrare che c’è una parte del Paese che ancora si mobilità per la conservazione di uno status quo che ha portato l’Italia ai livelli record di disoccupazione. Nessuno s’illude, nessuno parla di spallata, tantomeno la Camusso: per far saltare un governo servono almeno un milione di persone (come nel ’94, sempre col governo Berlusconi, che cadde sulle pensioni anche grazie al forfait di Bossi), almeno tre ne servono per bloccare una legge, come accadde in quel 2002 con la riforma dell’articolo 18. Al di sotto di quei numeri, la manifestazione di domani a Roma rischia di trasformarsi in una passeggiata di piacere, anche un po’ surreale, con la Cgil a capeggiare un corteo di guastatori del Pd condannati all’irrilevanza, da Pippo Civati a Gianni Cuperlo, fino a Stefano Fassina, Cesare Damiano e Rosi Bindi. Tutti gli altri, quelli che si sono votati alla causa di Renzi, saranno a farsi i selfie alla Leopolda, la riunione fiorentina di un partito che vive ormai una sorta di maccartismo politico, dove il dissenso è relegato nell’alveo di una fenomenologia ornitologica, quella dei gufi.

Le riforme del centrodestra in salsa renziana

Per incendiare il corteo di domani manca il nemico, il Puzzone, il Caimano, i fascisti, i capitalisti, l’uomo nero della destra che cospira contro il moderno proletariato. E non è poco. Perché le stesse cose che proponeva ieri il centrodestra, dalle riforme del lavoro a quella delle pensioni, fino a quelle istituzionali, come l’abolizione del Senato e delle Province, se le fa uno del Pd fanno meno schifo alla sinistra, almeno non a quella che in piazza ci lavora da anni tramite i passeggiatori professionisti che agganciano qualunque cosa somigli a una protesta.

Il ritorno dei vecchi fantasmi, da Cofferati a Bertinotti

Ecco perché, mentre la Cgil sifilerà da sola, senza la Triplice, nel diluvio di critiche degli industriali, giovani in testa (e con un evento parallelo, quello dell’Ugl, che protesta sugli stessi temi da piazza della Bocca della Verità fino a piazza SS Apostoli) il Paese reale probabilmente domani curerà dettagli marginali: il traffico bloccato in centro, i servizi pubblici penalizzati già da ieri, il caos nei trasporti per l’arrivo dei manifestanti. La presenza in piazza di personaggi vintage, come Sergio Cofferati e Fausto Bertinotti, non aiuta a comprendere le ragioni della modernità di una protesta che viene calata dall’alto in un Paese che tutti i giorni si chiede come sia possible essere precipitati a livelli minimi di occupazione. E che forse, per questo, volentieri scenderebbe in piazza proprio contro la Cgil.

 Il video della manifestazione record dei sindacati del 23 marzo 2002

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