Brasile, “trombato” l’ex ministro che negò l’estradizione per Battisti

27 Ott 2014 10:04 - di Redattore 92

Le elezioni brasiliane consegnano una vittoria a metà per la sinistra brasiliana: da una parte la conferma affannosa della presidente uscente, Dilma Rouseff vincitrice al ballottaggio con il 51,64 per cento sul candidato di centrodestra Aecio Neves. Dall’altra spicca il nome di un trombato eccellente come Tarso Genro, l’ex ministro della Giustizia brasiliana che si rifiutò di consegnare Cesare Battisti all’Italia, uscito sconfitto dalle elezioni come governatore dello Stato di Rio Grande do Sul. Una battuta d’arresto per la sinistra brasiliana, che sull’esempio dell’ex presidente Ignacio Lula da Silva, ha costruito da un decennio una fitta rete di clientele e di interessi che agli elettori va sempre più stretta. Ne è conferma la vittoria della Rouseff, che è stata rieletta solo al secondo turno con appena il 51,64% dei voti, pari a 54.498.042 voti. Il suo sfidante Aecio Neves ha ottenuto il 48,36%, pari a 51.040.588 preferenze. Gli aventi diritto al voto erano 142.822.046, i voti validi sono stati 105.538.630. La percentuale di votanti è stata del 78,9%, quella degli astenuti il 21,1%. Dilma ha vinto in 15 stati, Aecio in 12.

L’ex ministro della Giustizia amico di Battisti

La sorpresa più clamorosa di questa tornata elettorale, dove si è andati al ballottaggio anche per eleggere i governatori di 13 Stati della Federazione, è arrivata dal Rio Grande do Sul. Nello Stato più meridionale del Brasile, nella cui capitale, Porto Alegre, ha votato anche la presidente Rousseff, è uscito sconfitto Genro. Candidato alla rielezione per il Partito dei lavoratori della presidente, è stato sconfitto dall’outsider centrista José Ivo Sartori (Pmdb). Genro, già sindaco di Porto Alegre, tra i principali artefici del Forum dei no global che per anni ha visto riuniti esponenti della sinistra terzomondista di tutto il mondo, era stato uno dei più convinti difensori di Battisti. Condannato all’ergastolo in contumacia da un tribunale italiano per quattro omicidi compiuti negli anni ’70, Battisti fu arrestato a Rio de Janeiro nel 2007. La richiesta di estradizione proveniente dall’Italia è stata rifiutata nel gennaio 2009 dall’allora ministro della giustizia Tarso Genro che creò un’aspra polemica fondando la sua decisione sul timore di una persecuzione di Battisti in Italia per le sue idee politiche. La Corte Suprema annullò nel novembre dello stesso anno la delibera di Genro concedendo l’estradizione  condizionata però alla decisione finale del presidente Luiz Inacio Lula da Silva. Come ultimo atto, al termine del suo secondo e ultimo mandato il 31 dicembre 2010, Lula decise per il no all’estradizione, decisione ratificata con la libertà all’ex membro dei Pac (Proletari Armati per il Comunismo) concessa dal Supremo Tribunale Federale l’8 giugno 2011.

Le prime parole della presidente rieletta

«Sono la vincitrice di queste elezioni storiche», ha detto la presidente rieletta, nel suo primo discorso ufficiale. Dopo una campagna elettorale caratterizzata da un duro scambio di accuse tra i due candidati, la Rousseff si è detta «disposta al dialogo e questo sarò il mio primo impegno di questo secondo mandato: dialogare». Parole in sintonia con la telefonata di complimenti ricevuta dallo sfidante di centrodestra. «Le ho chiesto di svolgere un buon governo, che unisca il Paese con un progetto dignitoso», ha dichiarato Neves subito dopo aver ammesso la sconfitta. E proprio di «unione» ha voluto parlare anche la presidente. «Non credo che queste elezioni abbiano diviso il Paese a metà», ha esordito. «Capisco che abbiamo mobilizzato idee e emozioni a volte contraddittorie – ha proseguito Dilma -, ma mosse da un sentimento comune: cercare un futuro migliore». «Invece di ampliare divergenze – ha continuato Rousseff per ribadire il concetto – ho speranza che questa energia mobilizzatrice abbia preparato un buon terreno per la costruzione di ponti». Dopo aver più volte ringraziato «il presidente Lula» per il sostegno ricevuto, Dilma ha poi sottolineato di voler essere «una presidente ancora migliore di quello che sono stata».

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