Renzi a Bari parla allo specchio: “Chi è il più bello del reame?”. E si dà la risposta da solo

13 Set 2014 20:22 - di Redazione

Matteo Renzi alla Fiera di Levante. Tutti sospettavano che sarebbe stato un altro show da palcoscenico e così è stato. Ancora una volta, l’ennesima, si è esibito come un attore (senza arte né parte), finto comico, nell’illusione di far divertire la platea con qualche battutina. Dal lavoro alla Ue ha elencato problemi su problemi, descrivendo un’Italia in ginocchio, senza dare risposte concrete. Solo un’autoesaltazione in terza persona: «Rispetto al passato il premier è una persona che ha la testa dura, non molla e va avanti, mentre sugli spalti c’è la gente che fa il tifo», ha detto nella speranza di strappare al pubblico un applauso. Poi un ragionamento da furbetto della politica: «C’è tanto, tanto, tanto da fare. Si può dire che si poteva fare 30 anni fa, 20 anni fa, 10 anni fa… ma lo spirito di questo governo non è quello di lamentarsi di ciò che 20 anni fa non è stato fatto, ma di essere qui con la convinzione che se 20 anni fa non fu fatto lo facciamo ora», dice citando un detto africano (“il miglior momento di piantare un albero era 20 anni fa, altrimenti è adesso”) per assicurare che «ciascuno di noi non molla». E ancora: «Dopo anni di ubriacature da soluzioni tecniche e tecnocratiche  è il momento che la politica torni a fare il proprio mestiere». E ancora un’altra citazione , questa volta è una frase di Giorgio La Pira: «Fare politica significa la più alta forma di servizio». Poi è partito all’attacco nel tentativo di far capire all’uditorio che a Strasburgo l’Italia mostra i muscoli e non sta col cappello in mano (anche se le ironie del web lo condannano, descrivendolo in ginocchio dalla Merkel): «Noi andiamo in Europa a chieder conto di questi 300 miliardi di euro», annunciati da Juncker per gli investimenti, e «vogliamo sapere quando li mettono. Smettiamola con la cultura del piagnisteo, noi siamo alla guida della Ue, dobbiamo farci valere per quello che siamo». E ancora: «L’Italia è tra i pochissimi a rispettare il 3%. Noi rispettiamo il patto di stabilità e di crescita, noi stiamo dentro il 3%». E per cercare di spegnere le fughe in avanti degli antieuropeisti sottolinea che bisogna «smettere di vedere l’Europa come nostro nemico, giudice o professore» e di «cospargersi il capo di cenere, convinti di essere salvati» dalla Ue, perché «tra salva-Stati e salva-banche l’Italia sta dalla parte di chi mette e non di chi prende i soldi». Ma poi ammette: «Oggi la crisi economica è globale, ma vede nell’eurozona un punto di difficoltà maggiore e vede l’Italia non ancora ripartita, non ancora rimessa in moto». È un Renzi confuso che parla di un’Italia in crisi come se si trattasse di una novità: i dati sul Pil «suonano non come la fine della caduta ma come una mancanza di ripartenza», ha spiegato ancora il premier ricordando come la crisi abbia «visto l’Italia raddoppiare la percentuale della disoccupazione, ed è una percentuale non omogenea, dal punto di vista anagrafico e all’interno divisione geografica del paese». Renzi ha ricordato infatti come «oggi ci sia una parte del Nord che viaggia ad una velocità più elevata di quella media europea, ma ci sono tante zone del Sud» con dati economici che «definire devastanti è riduttivo». E dulcis in fundo la demagogia più strumentale sull’invasione degli immigrati in Italia: «Mare Nostrum non è un’impuntatura dell’Italia ma l’idea che l’Europa abbia un cuore e un’anima, che l’Europa si preoccupi della vita delle persone, che non lasci morire una giovane mamma».

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