La Scozia decide il suo destino e fa tremare i burocrati di Bruxelles

18 Set 2014 12:56 - di Redazione

Sono iniziate in Scozia le operazioni di voto per il referendum sull’indipendenza. Secondo il quotidiano “The Scotsman” è il “giorno del destino”, per “The Herald” è il “giorno del giudizio”. Sono titoli che danno il senso della sfida in atto la cui portata e incidenza travalicano la stessa Scozia. All’esito del voto scozzese guardano con apprensione anche altri Paesi europei, a cominciare dalla Spagna che teme i riflessi separatisti sulla Catalogna. Negli ultimi giorni di campagna elettorale il clima si è surriscaldato. Agli appelli accorati da parte dei fronti contrapposti del Sì e del No si sono accompagnati toni minacciosi provenienti soprattutto da parte delle burocrazie di Bruxelles e del mondo bancario.
Gli ultimi sondaggi danno praticamente alla pari i due schieramenti. Il che ha rinvigorito la campagna degli unionisti, a partire dal premier David Cameron che ha confessato di vivere con grande preoccupazione il momento attuale. Certo è che, se dovesse vincere il Sì, molte cose cambierebbero, non solo per la Scozia, ma anche per altri Paesi. Edimburgo è la quarta piazza finanziaria europea. La Scozia possiede considerevoli risorse petrolifere e punta a diventare uno dei primi fornitori al mondo di energia elettrica. La separazione avrebbe effetti sulla economia inglese. Non è un caso che, per convincere gli elettori residenti in Scozia a dire No, il governo di Londra e tutti i partiti britannici si siano spesi negli ultimi giorni in offerte senza precedenti, promettendo misure, agevolazioni e norme in materia di sanità, di istruzione e di tasse, compreso il mantenimento della “formula Barnett”, che assegna agli scozzesi un budget di spesa pubblica superiore del 19% a quella degli inglesi. Promesse considerate non sufficienti, e perlomeno tardive da parte dei fautori del Sì.
La verità è che, contrariamente a quel che si pensa e ad una certa disinformazione alimentata dai giornali continentali, gli scozzesi sono più europeisti degli inglesi, ma hanno una visione dell’Europa alla cui base c’è una maggiore integrazione dei popoli. Il modello di riferimento è quello scandinavo con il quale ad Edimburgo pensano di avere molti elementi in comune. E proprio di un “rafforzamento dell’Europa”, nel caso prevalessero i Sì, parla il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, per quale il processo di autodeterminazione della Scozia è importante perché a decidere non possono essere solo le banche e i banchieri. “A volte anche il popolo deve essere chiamato a dire la sua”.

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