I “mammoni” se la passano male: fanno poco sesso, le mogli scappano e la legge non li perdona

18 Set 2014 15:50 - di Antonio La Caria

Gli piace la pasta cucinata da mammà (con rigoroso accento sulla “a”), telefona sempre a mammà, racconta tutto a mammà. Se deve scegliere i colori della stanza da letto sente il parere di mammà e non della mogliettina, relegata a comparsa. E magari fa poco sesso. Il “mammone”, classica figura hollywoodiana, lascia i film e finisce in tribunale, dove se la passa maluccio. È infatti causa di annullamento del matrimonio celebrato in chiesa il legame troppo intenso e di dipendenza del marito dalla figura materna tale da generare problematiche sessuali e comportamenti anaffettivi verso la moglie ignara di questa “patologia” del partner. L’ha affermato la Cassazione confermando la nullità delle nozze concordatarie di una coppia di Mantova che si era trovata in questa situazione emersa non appena iniziata la convivenza da sposati. A decidere l’annullamento di questo matrimonio celebrato nel 2007, era stato – nel 2010 – il Tribunale ecclesiastico che esaminando i due sposi, con test e perizie, era arrivato alla conclusione che il marito, per via del particolare rapporto con la mamma, aveva sviluppato una «patologia produttiva dell’ incapacità ad assumere l’obbligo di quella minima integrazione psico-sessuale che il matrimonio richiede con la conseguenza di un comportamento anaffettivo e indifferente nei confronti della moglie». Contro questa decisione si è opposta la moglie sostenendo che il marito era perfettamente al corrente delle “magagne” che lo affliggevano mentre era lei quella ad essere all’oscuro degli effetti negativi del legame dell’uomo con la mamma. Pertanto il matrimonio era perfettamente valido, con la conseguenza che la signora, con la separazione, avrebbe avuto diritto all’assegno di mantenimento o la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni preclusale dall’annullamento. La Suprema Corte – sentenza 19691 appena depositata –  ha dato torto alla moglie “beffata“, sottolineando che «in un caso come quello in esame in cui l’altro coniuge ha determinato con la sua incapacità derivante da una patologia psichica, la invalidità del matrimonio concordatario si pone, sia pure ex post, una questione di effettività e validità del consenso che prevale sulla tutela dell’affidamento riposto dal coniuge inconsapevole al momento della celebrazione del matrimonio». In conclusione, ad avviso degli “ermellini”, «non esistono ostacoli» al riconoscimento dell’efficacia della sentenza di nullità di queste nozze emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale lombardo. La signora ora attende l’esito della causa civile intentata davanti al Tribunale di Mantova all’uomo “mammone“ – che non può nemmeno essere considerato un ex marito – per avere un qualche risarcimento economico dopo il “matrimonio bluff'”.

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