Fassina a Poletti: «Sei ridicolo». A sinistra la resa dei conti sul lavoro è già cominciata

23 Set 2014 16:21 - di Redazione

A sinistra scocca l’ora della resa dei conti. La determinazione con cui il premier Renzi procede sul cosiddetto Jobs Act ed in particolare sulla modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, sta producendo l’effetto di una reazione a catena: dapprima la Cgil, poi la minoranza interna, quindi i gruppi parlamentari ed ora la gauche diffusa ed allargata ai Vendola, ai Landini ed ai Rodotà. Mancano solo i “girotondini” alla Nanni Moretti e le bandiere arcobaleno del “popolo della pace” altrimenti l’album di famiglia sarebbe completo. Tutti insieme o quasi per dimostrare che la fronda al premier è vasta, profonda e motivata.

Non è infatti casuale che nella conferenza stampa illustrata in mattinata a Montecitorio le polemiche sulla riforma del mercato del lavoro siano rimaste sullo sfondo lasciando la scena ad un tema in apparenza meno “caldo” sul fronte del conflitto con Renzi ma forse ben più efficace come collante delle varie anime della sinistra: l’obbligo del pareggio di bilancio, assurto dal 2012 ad obiettivo di rango costituzionale. La sinistra diffusa e radicaleggiante vuole abolirlo attraverso l’approvazione di una proposta di legge iniziativa popolare. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi dal momento che per la sua presentazione alle Camere occorrono almeno 50mila firme.

È evidente che lo scopo vero della battaglia che questa parte della sinistra si accinge a combattere non è uguale per tutti. Se, infatti, per Rodotà, l’abrogazione della norma che obbliga al pareggio di bilancio è l’occasione per sostenere che “c’è una costituzione regolata dall’economia che mette in scacco le costituzioni formali” mentre per il capo della Fiom, Landini, è la strada per rivitalizzare un sindacato messo sempre più sulla difensiva dai micidiali colpi della crisi, per i politici presenti come l’ex-sindacalista Airaudo, oggi deputato di Sel, o Pippo Civati, leader di una delle minoranze interne, o ancora l’ex-sottosegrario Fassina, è il tema giusto per arpionare l’opposizione grillina e a saldarla nel raggiungimento di un obiettivo comune. La difesa dei “diritti fondamentali” ha dunque lo scopo di scoprire il premier su un tema a fortissima valenza identitaria per la sinistra.

Lo conferma plasticamente il giudizio sprezzante espresso da fascina a margine della conferenza stampa sulla garanzia fornita dal ministro del Lavoro Poletti circa la permanenza dell’obbligo del reintegro per i licenziamenti discriminatori: “E’ ridicolo. Chi mette in mezzo il reintegro per i discriminatori come concessione alla minoranza Pd, non sa di che parla: la tutela in quel caso è prevista dalla Carta fondamentale dei diritti dell’uomo del 1948”. La resa dei conti è già cominciata

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