PAGINE DI STORIA/ Quel 19 agosto Leonida consegnava i suoi 300 spartani alla Storia

19 Ago 2014 16:18 - di Antonio Pannullo

Gli studenti di tutto il mondo (spesso criticati per la loro mancanza di preparazione, circostanza peraltro non sempre vera) potranno forse non conoscere la battaglia di Stalingrado, o quella dei Laghi Masuri, o magari non sapere quando (e tra chi) fu combattuta quella di Shiloh Church, o non sapere dove si trovino le Ardenne o Canne o Zama. È possibile ignorare questi e altri fatti, però certamente tutti sanno dove si trovano e cosa successe alle Termopili il 19 agosto del 480 a.C.. Gli studenti di ogni parte del mondo hanno sentito parlare di Leonida e sanno quanti uomini avesse con sé contro l’orda persiana (così è raffigurato spesso l’esercito di Serse). E la cosa che ha colpito l’immaginario collettivo del mondo moderno è spiegata da quella frase che il regista Zack Snyder fa dire al protagonista del suo “300” (2007) Leonida, interpretato da Gerard Butler in un (immaginario e forse mai avvenuto) colloquio con Serse I: «La storia ricorderà che pochi si sono opposti a molti»… Fossero i persiani quattro milioni come dice Erodoto o 150mila come dicono gli storici moderni, poco importa: certo è che a quel passo i greci erano poche centinaia e in particolare che l’avanguardia guidata da Leonida I, re di Sparta, ammontava a 300 opliti, che erano poi la guardia personale del re. Ma non è solo questo concetto pochi=molti che ha travalicato il significato della battaglia, c’è anche la circostanza che i 300 persiani sapevano perfettamente di dover dare la vita per una battaglia perduta in partenza, posto che una via d’uscita c’era, ossia la fuga. Questo pone la battaglia delle Termopili in una luce diversa da moltissime altre nella storia dell’umanità che hanno visto atti di eroismo sovrumano, poiché molto spesso non c’era altra scelta, mentre gli spartano una scelta l’avevano. Ma non la presero neanche in considerazione. Si sa che Sparta era una città guerriera, i cui abitanti erano tutti avvezzi all’usp delle armi: in quell’epoca, era considerata l’eccellenza delle forze armate greche, come dimostrò. La leggenda degli spartani poi annientò e cancellò la verità storica: poco importa se per i greci fu una sconfitta disastrosa o se il loro sacrificio in realtà non mutò le sorti della guerra. I 300 opliti hanno attraversato i 25 secoli che ci separano da loro per arrivare oggi da protagonisti intatti i cui nomi saranno sempre sinonimo di eroismo e di coraggio. A Sparta e alle Termopili pochi decenni fa sono state erette statue in onore di Leonida e dei suoi, con l’epitaffio di Simonide a illustrarne le gesta: «O straniero, annuncia agli Spartani che qui giaciamo, obbedienti ai loro ordini». La loro vicenda ha ispirato film e canzoni e persino fumetti e videogiochi. Dopo Erodoto, moltissimi scrittori – fino ai giorni nostri – hanno raccontato la loro epopea. Certo, i giovani studenti magari non ricordano che si trattò di una battaglia – realmente accaduta! – tra le città-Stato greche, alleate e guidate da Leonida e l’impero persiano le cui truppe erano guidate da Serse nel corso della seconda invasione persiana della Grecia. Leonida e i suoi 300 spartani non solo sono stati consegnati per sempre alla storia, ma in un certo senso sono usciti dalla storia per entrare nel patrimonio comune dell’umanità, diventandone per sempre gli eroi positivi di una dimensione mitologica. Dimensione a cui non assursero mai i loro avversari, i meno celebri “Immortali”, presenti alle Termopili. Si trattava di un vero e proprio corpo d’èlite, guardia personale dell’imperatore persiano, composta da diecimila soldati, né più né meno, esattamente diecimila. Sono durati sino al… 1979, come guardia personale dello scià, anno in cui furono sciolti definitivamente. A quanto dice Erodoto, solo due spartani sopravvissero, uno dei quali è Aristodemo, alla cui drammatica vicenda lo scrittore Andrea Frediani ha dedicato un romanzo, “300 guerrieri, la battaglia delle Termopili”, romanzo  in cui la storia è guardata dal punto di vista del superstite, che successivamente morì eroicamente nella battaglia di Platea, che fu quasi un suicidio. L’altro superstite fu un certo Pantite che, inviato in precedenza da Leonida come ambasciatore, non riuscì a tornare in tempo alle Termopili. In seguito, considerato dai greci un vigliacco – come Aristodemo – si impiccò. Quella di Sparta era una società estremamente dura e selettiva, ancora oggi usata come esempio di rigore. Rigore reso bene dalla frase di un soldato di Leonida che, a un persiano che gli prevedeva che le frecce nemiche avrebbero oscurato il cielo, rispose: «Bene, vorrà dire che combatteremo all’ombra»…

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