Ago 26 2014

Antonio Pannullo @ 16:55

PAGINE DI STORIA/ Quarant’anni fa scompariva a Cadice il comandante Junio Valerio Borghese

Si dice che quando Junio Valerio Borghese fu ricevuto dal presidente del Cile Augusto Pinochet, quest’ultimo si mettesse sull’attenti dicendo al principe: «È un onore!». Pochi mesi dopo il comandante della X Mas moriva nel suo esilio di Cadice, in Spagna, fulminato da una pancreatite. Accadde il 26 agosto del 1974. Era dovuto fuggire dall’Italia nel 1970, all’indomani del fantomatico e mai chiarito “Golpe dell’Immacolata”, e tornò nella sua patria, che aveva sempre lealmente e coraggiosamente servito, solo da morto. I suoi imponenti funerali si svolsero a Santa Maria Maggiore, dove c’è una cappella dedicata alla famiglia Borghese, tra le più antiche della nobiltà italiana (vanta almeno tre cardinali e un papa), senza gli onori militari, malgrado fosse una Medaglia d’Oro, il che fu vergognoso per la Repubblica italiana. Erano presenti i vertici del Msi, partito al quale Borghese aveva aderito dopo la guerra, diventandone anche per un breve periodo presidente, ma soprattuttoc’erano i suoi compagni d’arme, i ragazzi dei movimenti extraparlamentari di destra, e naturalmente i giovani del Fronte della Gioventù. Migliaia di persone, anche non fasciste, che onoravano Borghese come uomo e militare d’onore. D’altra parte, lui fascista non lo era mai stato, non prese mai la tessera del partito, neanche durante la Repubblica Sociale, alla quale aderì senza esitazione, deciso a difendere l’onore e la parola data, al contrario dei suoi superiori, la maggior parte dei quali erano in fuga. Come disse lo stesso Borghese, i giovani che aderirono alla Rsi non lo fecero per obbedire a un ordine superiore, ma liberamente. Dignità, lealtà, coraggio, secondo il principe, «non sono ideali che hanno un’impronta fascista. Appartengono al patrimonio morale di chiunque». E in effetti dovrebbe essere così, ma allora, per dirla sempre con Borghese, «si cerca vilmente di accordarsi con i vincitori».

Junio Valerio Borghese, figura la più ammirata nel mondo della destra italiana, era nato a Roma il 6 giugno del 1906. Dopo gli studi intraprese la carriera militare e nel 1928 divenne Guardiamarina, nel 1930 fu promosso sottotenente di Vascello e nel 1932 fu trasferito ai sommergibili. Imbarcato con questi – allora moderni – mezzi, partecipò nel 1936 alla guerra d’Etiopia e l’anno successivo a quella di Spagna, in seguito alla quale Borghese ricevette la Medaglia di Bronzo al Valor militare. Nel 1940, di stanza nel Dodecanneso, prese parte alla battaglia di Punta Stilo per poi frequentare, in Germania, un corso sui sommergibili atlantici, dove si addestrò sugli U-boot. Nel 1940, capitano di Corvetta su assegnato al reparto Incursori della I Flottiglia Mas, dove assunse il comando dello Sciré. Nel corso degli attacchi a Gibilterra si trovò a combattere insieme a uomini come Gino Birindelli, Teseo Tesei, Durand de la Penne. Per queste azioni nel 1941 ebbe la Medaglia d’Oro a Valor militare. Nel 1941 fu creata la X Flottiglia Mas e Borghese divenne il comandante di uno dei due reparti d’assalto, quello dei mezzi subacquei. Dopo le azioni a Gibilterra e ad Alessandria d’Egitto, si pensò di attaccare il porto di New York, importante non tanto per l’esito quanto per il morale, progetto però mai realizzato nonostante le prove fossero incoraggianti. L’armistizio bloccò ovviamente molte attività. Come disse Borghse, frattanto divenuto comandante della X Flottiglia Mas: «Una guerra si può anche perdere, ma con dignità e lealtà. La resa ed il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo». Dopo l’8 settembre Borghese, da soldato, rimase disciplinatamente nella caserma della Spezia e attese ordini. Tuttavia non distrusse i mezzi e respinse con le armi ogni tentativo dei tedeschi di impossessarsene. Nei giorni successivi Borghese scelse di rispettare la parola data all’alleato e lasciò gli uomini liberi di andarsene o di restare. Coniò il celebre saluto della Decima: «Decima comandante!», alla quale il comandante doveva rispondere «Decima, marinai!». La Decime insomma si costituì ancora prima che si costituisse la Repubblica Sociale. Da 300 marò rimasti dopo l’armistizio, divennero presto tremila, e tutti volontari. Ma anche se inquadrata nella Marina nazionale repubblicana, la Decima rimase sempre autonoma. Dopo diverse attività, tra le quali il tentativo di invadere Istria e Dalmazia per salvarle dai titini, tentativo però fermato, il 25 aprile 1945 colse la Decima nella sua caserma a Milano, dalla quale Borghese non si mosse. Dopo febbrili trattative, Borghese acconsentì alla smobilitazione purché i suoi uomini non fossero toccati: “La Decima non si arrende né scappa; smobilita solo», disse ai marinai schierati. E dopo l’ammainabandiera e l’omaggio ai Caduti, dette il rompete le righe. Arrestato, Borghese fu portato a Roma e messo nel campo di concentramento di Cinecittà. e poi al carcere di Procida. Degradato e imprigionato, nel 1949 il comandante fu condannato a 12 anni di reclusione per “collaborazionismo”, nove dei quali però gli furono condonati in considerazione della sua preziosa opera in difesa dell’Italia. Come detto, in seguito aderì al Msi, del quale divenne presidente per un breve periodo, ma non riuscì, lui, militare autentico, ad adeguarsi né a comprendere i meccanismi di un partito e tutte le camarille della politica. Per questo se ne andò e nel 1968 fondò il suo Fronte Nazionale. Due anni dopo, appunto, lo strano golpe, in seguito al quale dovette riparare a Cadice, dove tante volte era andato a bordo del suo Sciré, per restarvi fino alla morte. Il Msi, secondo la memorialistica, pur essendo al corrente di progetti di colpo di Stato, rimase sempre fuori dall’organizzazione e non rinnegò mai il comandante, partecipando anche al completo alle sue esequie. I più anziani ricordano ancora un memorabile discorso di Borghese, all’inizio degli anni Cinquanta, quando andò a inaugurare la prima sezione della fiamma tricolore nel rossissimo quartiere di Centocelle.

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