Cartelli su nomadi e accattoni: i sindaci s’indignano, i cittadini no. E questo deve far riflettere

25 Ago 2014 16:38 - di Priscilla Del Ninno

Da Catania a Pordenone passando per Ferrara: la sacrosanta rivolta contro l’accattonaggio selvaggio ha già mietuto almeno due vittime sul campo: il diritto del cittadino e la tutela delle città, sottomesse entrambi dal benpensantismo virale e piegate alle ragioni dell’ipocrisia seriale, che non fanno altro che radicare sul territorio – incentivandolo – il racket legato all’elemosina. Del resto, che dietro l’obolo versato a questuanti privi di vista o claudicanti, con figli a carico o vedove di guerra – il campionario della beneficenza coatta offre sul piatto di tutto un po’ – ci siano strutture organizzate allo sfruttamento dell’handicap e della necessità stringente, è cosa appurata in molti casi, solo da dimostrare in altri. Quel che è certo, però, è che la gestione del problema è sepolta ormai da troppo sotto coltri di polveroso politically correct ammantato di filantropia retrò: questi sì, davvero, nemici pubblici duri da combattere e da estirpare dal terreno sociale.

Così accade che i cittadini, più o meno assisti da sigle civiche e associassimo di settore, abbiano cominciato a difendersi in prima persona da questa sorta di “concussione” quotidiana di oboli caritatevoli che ha indotto, per esempio, stremati commercianti e gestori di supermercati all’affissione di cartelli che esortano senza mezzi termini i propri clienti a non regalare denaro ai tanti mendicanti che ogni giorno si appostano davanti all’ingresso di negozi e mercati. Specificando, a sostegno dell’invito “controcorrente” stigmatizzato nero su bianco – alla faccia di falsi moralismi – che elemosinare permette ai questuanti istituzionalizzati di raccogliere dai 60 ai 100 euro al giorno, «tanto quanto un operaio specializzato italiano, considerando un importo netto esentasse».

Questo, per esempio, quanto sostenuto e redatto nei giorni scorsi, tra gli altri, da Raffaele Goberti, titolare di una Conad di via Garibaldi a Ferrara, che ha provocato l’ira sociale del sindaco Tiziano Tagliani, pronto a bollare con l’epiteto scarlatto dell’«atto incivile» l’incriminato cartello di turno che mette al bando l’accattonaggio coatto.

A stretto giro è arrivata dunque così la risposta di Goberti, estenuato proprietario di negozio all’indice dell’amministrazione democrat: «Signor sindaco – ha scritto alla redazione ferrarese del Resto del Carlino il commerciante – non sono d’accordo con lei quando definisce stupida l’iniziativa del cartello esposto davanti al mio negozio, definizione alquanto affrettata e di parte. Stupido è invece non difendere la propria città dal racket dell’accattonaggio (spesso rifiutano il cibo e pretendono solo soldi, questo fa riflettere); stupido è non difendere la propria città dal degrado; stupido sarebbe, da parte sua, non accorgersi di quello che sta succedendo e far finta di niente». Un appello accorato più che un’autodifesa, quello dell’uomo che nella sua lettera ricorda di aver «iniziato la Colletta Alimentare quando nessuno sapeva cos’era», come di aver sempre «aiutato gente in difficoltà». E tra le righe, una disamina sociale della realtà quotidiana disperata quanto lucida, a cui sempre più spesso, in nome di un solidarismo d’accatto e di un altruismo spicciolo, viene messo il silenziatore. Tanto che sempre Goberti nella sua risentita missiva precisa anche: «Gestisco da trent’anni questo negozio, e prima di me la mia famiglia aveva un’attività, e mai, dico mai, ho visto situazioni di abbandono come in questi ultimi tempi. Il mio  – conclude – è un grido di dolore che non trova nessuna risposta, soprattutto dall’amministrazione comunale di cui lei è a capo». Ma la crociata contro l’accattonaggio selvaggio sembra aver scoperchiato il vaso di Pandora…

 

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