A.A.A. cercasi presidente della Federcalcio. Per fortuna si vince a prescindere….

9 Ago 2014 16:47 - di Mario Aldo Stilton

Ancora poche ore e la commedia dell’elezione dei vertici di Federcalcio avrà termine. Finalmente. Perché, appunto, non se ne può più. Di Tavecchio e di Albertini. E del rinnovamento sempre più necessario. Che se non c’è rinnovamento chissà che fine farà il calcio. Il nostro calcio. Chissà se mai più riusciremo a vincere qualcosa. E chissà se riusciremo a non far più quelle figure da baluba come un mese fa in Brasile. Dramma. Tragedia. Tensione alle stelle. Candidati che si guardano in cagnesco. Con le rispettive tifoserie a spingere e gli sparring partner agli angoli. Tavecchio è un innovatore volitivo di 71 anni. Talmente irruente e desideroso di fare da vincere, per distacco, il titolo di Gaffeur. Albertini è il giovane e dovrebbe perciò essere rampante. Però se lo guardi bene e soprattutto lo senti argomentare ti viene in mente il bradipo e capisci che in realtà è più giovane l’altro. Che lui tutt’al più è un onesto mediano spinto sul proscenio da alcuni furbacchioni in guerra di potere coi rivali. Così bisogna scegliere. Tra l’incudine e il martello. E così tutto diviene ultimativo. È sempre e solo un’ultima spiaggia, c’è sempre e solo un’ultima possibilità. E poi il burrone, il precipizio. Che perciò si deve evitare. Ovviamente per il bene nostro e del Dio pallone. Quel Dio Eupalla emerso dalla penna caustica del grande Gianni Brera che però recentemente dev’essersi un tantinello distratto. Perché altrimenti li avrebbe inceneriti tutti. Tutti questi che tirano da un lato o dall’altro. Tutti questi che blaterano di competenza, di professionalità. E pure di rinnovamento. Questi che ti spiegano, ad esempio, che gli inglesi hanno saputo rinnovarsi. Come gli spagnoli o i tedeschi che hanno poi vinto. E che perciò così dovrebbe fare anche l’italico pallone. Fingendo di non ricordare che eravamo sommersi da scandali e scommesse e l’inflazione al 22 per cento quando vincemmo nel 1982 e non eravamo messi meglio nel 2006. E che tutto era necessario, ma non l’età anagrafica. Allora come ora. Così come non contavano e non contano gli strepitii e le urla scandalizzate. Da nessuna parte. Perché il pallone è rotondo. E vinci se hai quelli bravi e sei pure fortunato, che a volte non vinci neppure se hai i Maradona o i Pelè o i Paolo Rossi. Perché il pallone è bello e dannato. E i tanti sparasentenze impegnati da oltre un mese in un giochetto che ha stufato lo sanno bene. Sanno perfettamente che son tutte cazzate. Sanno che lo scontro è sempre lo stesso. Per lo stesso motivo. È scontro di potere. E’ scontro per la gestione della federazione più importante del gioco più importante. Quello che muove milioni di cuori e miliardi di euro. Perciò dopodomani vincerà Tavecchio e Lotito brinderà. Oppure la spunterà il terzo incomodo, quel commissario che il capo del Coni Malagò vorrebbe tanto nominare e sul quale adesso puntano anche i sostenitori di bradipo Albertini. E allora brinderà Agnelli.

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