Strage di Lampedusa: arrestati cinque trafficanti d’uomini. Sui clandestini anche stupri e torture

1 Lug 2014 12:31 - di Valeria Gelsi

Un sistema criminale spietato, di cui le morti in mare sono “solo” l’epilogo tragico più noto. È quanto emerso dall’inchiesta della Dda di Palermo sul naufragio al largo di Lampedusa del 3 ottobre, in cui morirono 366 persone. 

Dopo mesi di indagini e decine di migliaia di intercettazioni, la polizia è riuscita ad arrestare cinque persone. Altre quattro sono ricercate tra l’Africa, la Svezia e Roma, mentre cinque informazioni di garanzia sono state emesse nelle province di Agrigento, Catania, Milano, Roma e Torino. Gli investigatori hanno ricostruito la cornice spaventosa in cui si inserisce il fenomeno dell’immigrazione clandestina: oltre al traffico d’uomini, «continue violenze fisiche e reiterate torture su numerosi migranti, nonché – ha spiegato la polizia – ripetuti stupri, anche di gruppo, cui sono state sottoposte diverse donne». I reati contestati ai fermati e ai ricercati vanno dall’associazione per delinquere, al favoreggiamento dell’immigrazione e della permanenza clandestina, aggravati dal «carattere transnazionale del sodalizio malavitoso». Il network criminale era composto da eritrei, etiopi e sudanesi, con una presenza in Italia molto strutturata. Indagando sulla strage del 3 ottobre, gli investigatori sono riusciti a ricostruire le rotte e le tappe intermedie di numerosi altri terribili viaggi della speranza, compiuti da centinaia di disperati, prima spinti a mettersi in viaggio e poi vessati in ogni modo. Attraverso indagini mirate, la Dda di Palermo è riuscita a verificare l’esistenza di una attività di reclutamento, prima ancora che di trasporto in Italia, di consistenti flussi di immigrati. In particolare, è emerso che questi viaggi di morte iniziavano con una attività di raccolta a Khartoum, in Sudan. Molti di questi disperati, fra i quali sempre più bambini, venivano trasferiti, spesso con modalità vessatorie, a Tripoli, in Libia, da dove, dopo essere stati tenuti di fatto segregati, venivano fatti imbarcare su barconi fatiscenti diretti verso le coste siciliane. In Italia, poi, l’associazione criminale aveva una sua cellula radicata nelle province di Agrigento e Roma, «che favoriva la permanenza illegale di migranti clandestini sul territorio nazionale e – ha chiarito la polizia – ne agevolava il successivo espatrio, sempre illegalmente, verso altri Paesi dell’Unione europea, in particolare Norvegia e Germania, o del continente americano, tra tutti il Canada». 

 

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