Senato, quella riforma votata in fretta può generare l’ennesimo “mostro” istituzionale

11 Lug 2014 20:09 - di Aldo Di Lello

La battuta più pungente contro l’iperattivismo ostentato da Renzi l’ha lanciata proprio un compagno di partito del premier: Vannino Chiti, il quale ha perfidamente rilevato che le «riforme si fanno con la testa, non con l’orologio». Cogliere l’attimo fuggente appare in questo momento la vera grande preoccupazione del leader del Pd, una preoccupazione talmente forte da diventare un’ossessione. Certo, l’Italia non ha più tempo da perdere e il premier fa sicuramente bene a cercare di imporre e di far rispettare un timing per le riforme. Ma con la troppa agitazione non si fa il bene dell’Italia. Il rischio è che alla fine tutto si risolva nell’ennesima kermesse propogandistica, con le riforme “strutturali” (parola chiave dell’attuale mantra europeo) che rimangano a lungo una pia illusione. Prendiamo il caso degli 80 euro, elargiti a lavoratori con reddito inferiore a 1500 euro netti al mese: dovevano servire a rilanciare i consumi e a dare un aiutino alla crescita. Invece, dopo due mesi, siamo al punto di prima: rileva impietosamente l’Istat che il Pil Italiano non si schioda dallo 0,1 per cento  e che il pur modesto 0,8 promesso rimane una chimera. A cosa sono serviti gli 80 euro in busta paga? In conclusione, solo a permettere a Renzi di conquistare oltre il 40 per cento dei voti nelle recenti elezioni europei.

Ma dove il danno rischia di essere rilevante è con il nuovo Senato previsto dal ddl Boschi. Di una “camera” simile gli italiani possono fare tranquillamente a meno. Perché non sarà composta da veri parlamentari ma da un’ottantina di superconsiglieri regionali e da una quindicina di supersindaci. Con la qualcosa si verrebbero di fatto ad annullare tutti gli eventuali benefici  derivanti dalla riforma del Titolo V. E ciò per il semplicissimo motivo che i nuovi “senatori” potranno dire la loro sulle leggi di bilancio, complicandole a favore delle Regioni o, nella migliore delle ipotesi, ritardandole. Che senso ha attribuire competenze sul bilancio statale a signori che devono render in primo luogo conto ai Consigli regionali, là dove risiede uno dei  grandi fattori di sperpero del denaro pubblico? Nessuno, se non quello di gratificare i potentati locali e regionali, che temono di vedersi ridotti i poteri a seguito dell’annunciata revisione del Titolo V. Ma Renzi ha fatto sapere che la riforma va votata in fretta, in modo da sedersi con l’aura del “decisionista” al tavolo dei leader europei. Padrone il premier di fare il pavone nel continente. Ma qualcuno dovrebbe ricordare al giovane e impaziente Matteo che i tempi per una riforma attesa vanamente da 30 anni non possono essere decsisi dai summit dell’Ue. Così si rischia solo di partorire l’ennesimo “mostro”istituzionale.

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