La foto della coppia gay col neonato in sala parto. Noi non ci commuoviamo

4 Lug 2014 15:59 - di Renato Berio

Le immagini sono una forma di linguaggio potentissima. Una bella immagine, ben costruita, sentimentalmente solida, che parla di vita e di affetti, rimane impressa più di migliaia di dichiarazioni astratte sui diritti. Sarà per questo che la foto della canadese Lindsay Foster che mostra una coppia gay che si commuove per l’arrivo del “loro” figlio nato con la maternità surrogata sta facendo il giro del web. Si scrive e si dice che quello scatto sta commuovendo l’opinione pubblica. Ma c’è anche chi la trova inopportuna, stonata, distorta. La rete è territorio libero di confronto (e anche di propaganda) e dinanzi a una nascita non si può che essere lieti. Ma poi c’è la “costruzione” dell’immagine che non convince e proprio perché manca di quella spontaneità accompagna in genere i genitori all’arrivo del primo nato. Il bebè, tutti lo sanno, ha subito dopo il parto bisogno del contatto con la madre. Si ritrova invece stretto tra le braccia amorevoli di un “mammo” in lacrime. Colpisce la fragilità di quell’esserino, suo malgrado costretto a divenire trofeo di un amore talmente intenso, anche nell’egoismo, dal voler rendere artificiale la maternità. Una condizione, quest’ultima, che proprio dalla carnalità, dalla sua naturalità violenta, attinge una dimensione inaccessibile a un maschio. I sentimenti non c’entrano nulla.

L’affetto sincero che quella coppia prova e proverà per il piccolo Milo (così si chiama il bimbo) non sono in discussione. Il fatto reale è che quello non è il loro figlio e questo dato è immodificabile. La foto è dunque solo un quadro. Un “dipinto” propagandistico sui diritti gay. Un po’ come avvenne nel Medioevo, quando a forza di vestire la Madonna di blu il colore azzurro divenne il preferito nella scala cromatica. Questo “presepe” con due uomini, dove la famiglia non c’è, dove la partoriente è relegata al ruolo di “fattrice” che assiste a una gioia altrui, ha un effetto straniante che non commuove ma inquieta. E valgono almeno una citazione i diritti ignorati del piccolo Milo, già così celebre per il suo essere simbolo ideologico ancora prima che bambino come tutti gli altri.

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