Il voltafaccia dell’Eni sul Petrolchimico di Gela fa inferocire i lavoratori: «vogliono la guerra? L’avranno»

9 Lug 2014 15:29 - di Redazione

Errori di pianificazione della strategia industriale. E l’Eni ci ripensa: niente investimento da 700 milioni di euro al Petrolchimico di Gela, nessun programma di riqualificazione come concordato appena un anno fa. Un dietrofront imbarazzante per l’azienda. Ma, soprattutto, un voltafaccia inaspettato che ha fatto andare su tutte le furie i lavoratori. Che replicano: l’Eni vuole la guerra? Nessun problema.
Cresce la tensione per la vertenza sindacale al petrolchimico di Gela dopo il rifiuto dell’Eni di riavviare almeno una delle tre linee produttive della raffineria e la conferma della revoca dei 700 milioni di investimenti, che, di fatto, annulla il programma di riqualificazione produttiva concordato un anno fa dalle parti. Già questa mattina gruppi di lavoratori si sono spostati ai cancelli della consociata dell’Eni, “Green Stream“, con l’obiettivo di bloccare il gas che proviene dalla Libia attraverso il metanodotto sottomarino, fermando l’attività nel terminale di arrivo e di rilancio del metano, destinato alla rete nazionale.
Ma già da ieri sera, dopo la rottura delle trattativa, le maestranze gelesi non lasciano transitare più nessuno, nemmeno i turnisti che avrebbero dovuto dare il cambio ai colleghi che hanno lavorato durante la notte. L’orientamento generale è quello di lasciare il posto di lavoro dopo 16 ore di attività, così come prevedono sia il contratto che le leggi in materia.
A rischio la sicurezza in fabbrica, dove, anche se gli impianti produttivi sono fermi, sono attivi quelli che producono utilities indispensabili ai delicatissimi sistemi di controllo di apparecchiature, serbatoi macchine. Fra qualche giorno si potrebbero fermare le pompe di estrazione del petrolio dei giacimenti di Gela perché, in conseguenza del blocco del porto e delle spedizioni, i serbatoi di raccolta dei “centri oli” sono ormai quasi pieni. Nel pomeriggio, i sindacati provinciali Cgil, Cisl e Uil decideranno la data dello sciopero generale con cui chiameranno la popolazione a una manifestazione territoriale a sostegno della vertenza Gela.
Le reazioni alla decisione Eni sono inferocite. «Se l’Eni vuole la guerra a Gela l’avrà su tutti i campi, non solo nella raffinazione ma anche nella ricerca dei giacimenti, nell’estrazione del petrolio e nell’approvvigionamento del metano» avvisano i lavoratori che stamani, dopo quattro giorni di blocco delle vie di accesso alla raffineria, destinata dai nuovi programmi aziendali a restare ferma, hanno iniziato a presidiare l’area del terminale d’arrivo del metanodotto della consociata Eni, “Green Stream”, con la Libia.
L’obiettivo è quello di non far transitare né il personale turnista addetto alla conduzione dell’impianto né i mezzi della manutenzione, in modo da costringere l’azienda, per motivi di sicurezza, a chiudere le valvole del gasdotto e a fermare la stazione di pompaggio che immette il metano libico nella rete nazionale.
Quanto ai sindacati, c’è chi suggerisce all’Eni di tornare sulle sue decisioni, c’è chi si appella al presidente della Regione Sicilia Crocetta e chi invoca l’intervento del governo.
L’Ugl vede nubi nere all’orizzonte. Soprattutto dopo l’incontro di ieri con i vertici dell’Eni, terminato con una rottura delle trattative «La strategia presentata da Eni rischia di mettere in ginocchio il settore della raffinazione. E’ necessario l’intervento del Governo perché senza un cambio di rotta si rischia di barattare un discutibile recupero di efficienza con la deindustrializzazione del Paese e gravi ricadute occupazionali».
All’incontro Eni ha denunciato gravi perdite nel settore chimico e della raffinazione a causa delle difficoltà del mercato e del calo dei consumi. E ha sostenuto che c’è un surplus europeo di raffinato e i margini di guadagno si sono notevolmente ridotti. L’azienda ha inoltre modificato il modello organizzativo delle Divisioni cercando di rendere più snella l’organizzazione.
Ma, per l’Ugl, tutto questo «avrà ricadute gravissime sugli impianti di raffinazione in Italia che ora rischiano di scomparire. In particolare per il territorio siciliano, che raffina oltre la metà del petrolio in Italia, le conseguenze saranno ancora più tragiche. Non dimentichiamo infatti che a Gela Eni ha già comunicato che gli impianti non saranno riattivati, perché ritiene che produrrebbe in perdita, venendo meno agli impegni presi con l’accordo siglato nel 2013 e alla promessa di investire 700 milioni di euro per la Raffineria. Anche su Porto Marghera, l’azienda ha denunciato che il mancato rilascio dell’Aia non permette di riavviare le produzioni. Non resteremo a guardare», avvisa l’Ugl.

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