Ed ecco la Svizzera politicamente scorretta dove il saluto nazista non è reato

11 Lug 2014 16:42 - di Roberto Mariotti

Fermi tutti. Un giudice c’è, ma non a Berlino. Il paese dove è possibile il  politicamente scorretto esiste e non è poi così distante. Anzi, è vicino. Confinante. E’ la Confederazione Elvetica, nota ai più come Svizzera. Paese del buon latte e del buon cioccolato, dove un tempo si potevano inguattare ricchezze più o meno enormi per sfuggire alle maglie del fisco e dove oggi  pare si possa invece tranquillamente manifestare le proprie convinzioni senza correre il rischio di essere messi all’indice. Il fatto, che ha dell’incredibile,  racconta di un uomo che ha effettuato il saluto nazista, sì proprio quello col braccio teso in avanti e la mano aperta, e che è stato assolto dalla giustizia svizzera. Si, assolto. Giustizia che gli ha inoltre riconosciuto un risarcimento di 3.800 franchi, circa 3mila euro. Inutile stropicciare gli occhi, state leggendo bene, proprio un risarcimento in danaro. Roba da non crederci. Che se lo viene a sapere o a leggere Valter Veltroni ci scrive su un romanzo, ci produce una fiction, ci organizza pure tre convegni pieni di intellettuali-ali-ali e ci inonda tutti con decine di mielose, dolenti, riflessive interviste. L’agenzia elvetica Ats che ha diffuso la notizia spiega che in un primo tempo, l’uomo era stato condannato per discriminazione razziale dalla giustizia del cantone di Uri (centro) per avere effettuato il saluto nazista nel corso di un raduno organizzato dal Partito degli svizzeri nazionalisti sul simbolico prato del Grütli, culla dell’indipendenza elvetica. Ma dopo un ricorso, il Tribunale federale, massima istanza giudiziaria elvetica, ha annullato la condanna il 28 aprile scorso ed il Tribunale d’appello del cantone di Uri ha dovuto quindi assolvere lo svizzero. Con in più il succitato risarcimento in denaro. In sostanza, il Tribunale federale ha stabilito che il saluto nazista non è punibile poiché il gesto è stato compiuto solo per mostrare le proprie convinzioni e non per promuovere verso terzi l’ideologia nazionalsocialista.

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