Scandalo Mose, dopo la raffica di richieste bipartisan il sindaco di Venezia molla la poltrona e si dimette

13 Giu 2014 13:15 - di Bianca Conte

Tornato in libertà giovedì mattina, dopo una settimana ai domiciliari per finanziamento illecito nell’inchiesta sul Mose, il sindaco del Pd che governa la Serenissima, Giorgio Orsoni, ha tentato di fare la voce grossa e di restare inchiodato sulla sua poltrona di primo cittadino. Ma per pochi minuti: infatti si è dovuto dimettere rimettendo il mandato. Lo scandalo Mose continua a deflagrare, del resto, e di ora in ora l’aria di crisi che pervade il Comune di Venezia si sta trasformando in vento di bufera. Un vento alimentato – dopo le dimissioni di un assessore e di un delegato del sindaco – e pur nella diversità delle posizioni partitiche, da un coro politico che ha intonato fino a questo momento una sola richiesta: quella delle dimissioni del sindaco dei Democratici.
Così giovedì i militanti di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale, guidati dai consiglieri comunali di Venezia Raffaele Speranzon e Sebastiano Costalonga, hanno occupato l’anticamera del sindaco nella sede del Comune in segno di protesta contro il patteggiamento di pena che aveva rimesso sulla poltrona del primo cittadino l’esponente Democrat. «Ho chiesto al gruppo di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale di Venezia di mobilitarsi con fermezza su uno scandalo ora dopo ora diventa sempre più grave per chiedere le dimissioni del sindaco Giorgio Orsoni. FdI-An è da sempre una forza garantista, ma al contempo molto severa in tema di legalità», ha fatto sapere attraverso un comunicato la leader del partito Giorgia Meloni. Poi, dopo la richiesta partita da un assessore e due consiglieri, indirizzata a Orsoni, per «un ultimo gesto di responsabilità verso la città», è stato il Pd stesso a rincarare la dose: e attraverso un comunicato congiunto Debora Serracchiani, vicesegretario, e Roger De Menech, segretario regionale, hanno sottolineato come, non essendoci più le condizioni perché Orsoni proseguisse nel suo mandato, fosse necessario «riflettere sull’opportunità di offrire le dimissioni».
Un leitmotiv, peraltro, risuonato anche nelle dichiarazioni rilasciate alla Stampa dal senatore democratico Francesco Russo, che sul quotidiano torinese è tornato a ribadire come il fatto «che Orsoni abbia patteggiato una pena a quattro mesi, ammettendo una responsabilità», lo rendesse «incompatibile con la carica di sindaco». Unica voce fuori dal coro dei dissensi, infine, quella del deputato di Forza Italia Saverio Romano che, scagliandosi contro la «cultura dello sbattere il mostro in prima pagina, senza ascoltare le ragioni della difesa», ha invocato il rispetto «al sacro principio del garantismo, che non può essere usato per convenienze politiche. La canea mediatica degli ultimi giorni – ha quindi concluso l’esponente azzurro – e il populismo giustizialista che la alimenta sono un indizio di inciviltà giuridica e democratica».
Intanto, tra detrattori e sostenitori, il sindaco dimissionario ha fatto sapere che resterà ancora in carica per venti giorni, per il solo disbrigo delle questioni urgenti e obbligatorie, comunicando contestualmente di aver deciso di togliere tutti gli incarichi alla Giunta comunale, motivo per cui per cui renderà conto direttamente al Consiglio comunale, anch’esso in carica fino allo stesso termine. Termine trascorso il quale subentrerà un commissario prefettizio.

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