Riforme, Renzi si gioca il tutto per tutto. Il boccino nelle mani del Cavaliere

30 Giu 2014 11:03 - di Romana Fabiani

Settimana chiave per le riforme, con il primo voto sugli emendamenti in commissione Affari costituzionali del Senato, sotto la scure dell’incognita Forza Italia alla vigilia dell’avvio del semestre di presidenza italiana dell’Ue. Nelle prossime ore sono calendarizzati gli incontri decisivi di Matteo Renzi alla ricerca della quadra con grillini, azzurri e dissidenti democratici. Su tutto aleggia l’ombra della sentenza d’appello del processo Ruby che dovrebbe arrivare il 18 luglio e potrebbe sparigliare le carte (in caso di condanna dell’ex premier la reazione azzurra potrebbe essere imprevedibile). Il premier sa bene di giocarsi la faccia sulla sfida delle riforme e punta tutto sul “faro” del Quirinale, tanto che nel suo messaggio di auguri a Giorgio Napolitano, che compie 89 anni, lo definisce una «guida particolarmente importante per il nostro Paese, un presidio solido e imprescindibile». L’obiettivo dell’ex rottamatore e della maggioranza è quello di arrivare a un primo voto in Aula a Palazzo Madama prima del verdetto di secondo grado sul caso Ruby. Decisivo l’incontro di giovedì tra il Cavaliere e gli eletti di Forza Italia nel quale sarà chiamato a tenere a freno quanti continuano a remare contro il Patto del Nazareno. L’accordo con Renzi, per ora, resta il punto dal quale il Cavaliere non intende allontanarsi dopo gli stop and go elettorali. «Siamo stati determinanti alla Camera per approvare Italicum e lo siamo ancor di più al Senato per le riforme. Se non le votiamo, le riforme non passano», dice il fido Paolo Romani. «Io sto con Brunetta. L’imposizione oggi è votare quella legge così com’è, come se l’è inventata Matteo Renzi, sbagliata, completamente sbagliata», indossa l’elmetto invece Michaela Biancofiore parlando ad Agorà, «è una riforma che non sta né in cielo, né in terra per il semplice fatto che il Senato non può diventare un ricettacolo di sindaci e di dopolavoro dei sindaci. Siamo un paese dove non c’è più assolutamente la democrazia». La matassa delle riforme, insomma, è ben più complicata di quanto Renzi sperasse, sono lontani i tempi delle conferenze stampa a suon di slides e sorrisi. Anche sulla legge elettorale le distanze sono enormi. «Io preferirei i collegi alle preferenze», dice il presidente del Pd Matteo Orfini, «se dopo un anno e mezzo di lavoro qualcuno cambia idea e vuole discutere insieme a noi delle riforme siamo felicissimi. Naturalmente si parte dal lavoro fatto in questi anni».

 

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