La destra, i caduti degli anni Settanta e la memoria collettiva di un Paese ignaro

10 Giu 2014 11:49 - di Redattore 54

Sangue sparso, il film di Emma Moriconi sulla strage di Acca Larenzia in uscita nelle sale il 12 giugno, è sicuramente opera meritoria. Ma al di là degli applausi che la giovane regista sta raccogliendo (all’epoca dei fatti aveva sette anni) e del velo sollevato su una tragedia dimenticata, il modo in cui la stampa sta presentando quest’opera chiama in causa il rapporto tra la destra e la memoria, tra i “camerati” e un passato lontano e irrisolto, tra l’intero paese e il sangue degli anni di piombo. Su Sangue sparso non si leggono che titoli tipo: “gli anni di piombo visti da destra” “finalmente al cinema anche i morti di destra”. Ecco, c’è come una recriminazione di fondo nel presentare così la faccenda che non va bene per niente. Risarcimenti per quelle vite non ce ne possono essere, questo sia chiaro. Tanto meno grazie a un film, bello o brutto che sia. E la destra quei morti li ha già visti, visto che erano morti suoi e tra loro c’era anche un morto scomodissimo, Stefano Recchioni, che non poteva passare per martire dell’anticomunismo e neanche per quello che fu, cioè vittima del fuoco delle divise tanto amate dalla destra d’ordine (che poi, quelle divise, perché spararono? Altro interessante argomento di dibattito…). Certo sarebbe importante capire, al di là della narrazione cinematografica, come si arrivò a quel sangue, a chi giovò, chi ne fu il regista occulto (al di là degli esecutori palesi), come mai quegli assassini non furono mai presi al pari di coloro che hanno fatto le stragi. Il resto, ecco, è sola retorica, nel senso di bel discorso attorno a un tema, sia pur doloroso. Nei primi anni Ottanta andava di moda un libro-vocabolario di Alain de Benoist Visto da destra. Una specie di enciclopedia che “sistematizzava” l’ideologia neodestra attorno a nuclei tematici di fondo. A una generazione che era vissuta con il rotolo dei manifesti in un mano e la pennellessa nell’altro quel libro sembrava l’approdo che vendicava una stagione di colpevole ignoranza. Invece questo dividere il sapere in due blocchi, il cinema in due blocchi, la visione di un periodo luttuoso in due blocchi, la storia in due blocchi, la memoria in due blocchi era e resta profondamente sbagliato. Gli anni Settanta sono un buco nero nella memoria di questo Paese. È questo il tema da approfondire. Altrimenti il rischio è che si determini una nuova forma di “nostalgismo” – dopo quello per il Duce, malamente troncato nel ’94 con la svolta dal Msi ad An, si passerebbe alla mistica dei Caduti, magari per coprire un vuoto di proposte e di strategie. I morti non ne hanno bisogno, i vivi forse sì.

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