Il divorzio breve al Senato. E dalle donne di FI a FdI-An il coro è unanime: «Il discrimine sono i figli»

19 Giu 2014 12:24 - di Priscilla Del Ninno

Iter accelerato per il divorzio e rapida approvazione per il suo disegno di legge. Dopo il via libera di Montecitorio – seppur tra polemiche, emendamenti ed errata corrige – il ddl è dal 17 giugno all’esame delle varie commissioni di Palazzo Madama. Fulcro della proposta normativa la sensibile riduzione della tempistica necessaria a porre giuridicamente fine a un matrimonio: 12 mesi in caso di contenzioso e 6 se consensuale. Accanto, però, anche la decadenza dell’accordo sulla condivisione dei beni a partire dall’addio dei coniugi in regime di separazione e la disposizione della validità immediata della legge dopo l’ok del Senato anche per le cause in corso d’esame. Timing e provvedimenti giuridici a parte, però, l’oggetto del contendere parlamentare è prioritariamente etico: le ripercussioni psicologiche sui figli, i costi che gravano sulle famiglie, il diktat morale implicito nel messaggio che arriva dallo Stato. Eppure, a detta dei più, quello sul divorzio breve paradossalmente risulta in ultima istanza un provvedimento a favore del matrimonio, nella misura in cui riduce – ridimensionandolo – il periodo di attesa per la risoluzione del vincolo coniugale, che molto spesso si traduce in un incubo giudiziario per genitori e figli, estenuantemente lungo e costoso.
«La fase che porta alla sentenza di divorzio è sempre molto delicata soprattutto per i bambini: quindi meno dura, meglio è», ci dice Alessandra Mussolini da noi contattata in rappresentanza della linea tenuta in Aula da Forza Italia. «Del resto una coppia, se punta alla riconciliazione, la può trovare in mille modi, anche fuori dai tribunali», aggiunge la deputata forzista. E allora, a proposito dei bambini, cosa prevede nello specifico il testo? «C’è una differenziazione nei tempi tra coppie con i figli – un calendario più lungo – e senza: ma pensi che io avrei fatto esattamente il contrario. Perché credo che proteggere bambini e ragazzi sia evitargli le liti, il disagio, le ritorsioni che accompagnano una separazione non consensuale e che spesso – ed è un guaio – portano a far subentrare nella vicende familiari gli assistenti sociali. Detto ciò, io sono favorevolissima a questo disegno di legge che riduce questi anni di conflitti che non portano a niente e aumentano solo i costi».

E il discrimine sui figli ha argomentato anche la diversità di posizione assunta sul voto al ddl da Fratelli d’Italia-An. «Il nostro partito – dichiara sul sito tricolore Giorgia Meloni – non ha votato a favore del divorzio breve ma, come dimostra l’esito della votazione, ha lasciato ai suoi deputati libertà di scelta, in attesa di discutere il tema negli organi di partito per trovare una linea condivisa prima dell’approvazione definitiva». Una specificazione che evidenzia come aspetti del testo non convincano, a cominciare proprio – aggiunge la Meloni – «dall’equiparazione della tempistica tra le coppie con figli e senza figli»: un discrimine affrontato in maniera diametralmente opposta da quanto sostenuto poco sopra dalla deputata forzista Alessandra Mussolini. «Crediamo infatti – asserisce on line Georgia Meloni – che la tutela dei minori richieda maggiori responsabilità giuridiche e morali, e dunque che, anche in caso di divorzio, i tempi debbano essere maggiori». Un approccio sostenuto anche dall’ex parlamentare FdI-An Paola Frassinetti che al “Secolo d’Italia” ha detto: «Non mi sembrava un provvedimento così urgente rispetto ad altri. Però, se il quid della questione è la tempistica, dobbiamo considerare che la soglia è già stata abbassata da 5 a 3 anni, che mi sembra possano rappresentare una opportuna pausa di riflessione considerando che c’è anche chi, nel frattempo, a iter giudiziario avviato, ci ripensa. E allora, per sintetizzare – conclude la Frassinetti – differenzierei tra coppie con e senza figli: se non ci sono ragazzi in famiglia, i tempi brevi possono anche essere opportuni. Ma in caso contrario avrei ritenuto più idoneo lasciare il limite precedente dei tre anni».

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