Coldiretti, vola la spesa bio e fa crescere la green economy. Ma il cibo inquinante vanta ancora molto appeal

4 Giu 2014 14:10 - di Bianca Conte

Dovendo tirare la cinghia gli italiani hanno imparato a fare la spesa. A selezionare i prodotti con il miglior rapporto qualità-prezzo e, soprattutto, a guardare le etichette che indicano origine, provenienza e certificazione del prodotto. E allora, non stupisce – ma fa notizia – il dossier della Coldiretti – Lavorare e vivere green in Italia, elaborato in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente proclamata dall’Onu e presentato al Nelson Mandela Forum di Firenze – che evidenzia come, in controtendenza agli acquisti alimentari, crollati ai minimi da 33 anni, la crisi faccia volare la spesa green. Dunque nel paniere degli italiani finiscono prodotti a km 0, cibo bio, alimenti sfusi e specialità Dop/Igp, tutti generi che raggiungono un fatturato record di 20 miliardi nel 2013, ossia +65% rispetto a inizio crisi nel 2007. «Sempre più italiani – sottolinea Coldiretti – mettono nel carrello prodotti locali che non inquinano non dovendo percorrere lunghe distanze, ma anche cibi biologici non trattati con la chimica, alimenti sfusi senza imballaggi o specialità a denominazione di origine che conservano la biodiversità del territorio». E quindi dalla green economy – secondo Coldiretti – vengono «grandi opportunità di sviluppo in grado di generare reddito e lavoro».

Una tendenza che, al di là della riscoperta del nostro folclore bucolico e agreste, come della qualità delle nostre produzioni, nel 2013 ha indotto ben 15 milioni di italiani a fare la spesa dal contadino nelle fattorie o nei mercati degli agricoltori, con un aumento del 25% rispetto all’anno precedente, e un fatturato complessivo della spesa a chilometri zero stimato in 3 miliardi di euro. Come a dire che il revival dei mercati agricoli e del rapporto di scambio diretto tra produttore e consumatore sta generando nuove sinergie commerciali, alimentando economia e occupazione. Altrettanto conseguenziale inoltre che risulti positivo anche il bilancio 2013 degli acquisti di alimenti biologici, con un fatturato che sale a 3,1 miliardi e un aumento dell’8,8% dei consumi: dimostrando come il settore green e bio, per costi e cultura finora appannaggio solo di esclusive porzioni di consumatori, si sia esteso su una gamma più vasta ed eterogenea. Così come crescono – generando addirittura un fatturato prossimo ai 13 miliardi di euro – il numero degli italiani sedotti dai prodotti Dop e Igp.

Dato però che al mercato bio corrisponde anche un crescente business tutt’altro che ecologico, l’indagine della Coldiretti presenta il risvolto della medaglia: e accanto al podio del cibo green troviamo allora anche la classifica degli alimenti che inquinano di più. Ciliegie cilene, mirtilli argentini e asparagi del Perù, salgono in vetta alla top ten dei prodotti che inquinano di più, perché arrivano sulle tavole degli italiani dopo lunghi viaggi, con conseguente consumo di petrolio ed emissioni di gas serra. Prodotti che, come le more del Messico, i cocomeri del Brasile, i meloni di Guadalupe, i melograni  d’Israele e i fagiolini dell’Egitto, «arrivano sulle tavole – spiega Coldiretti – a causa della cattiva abitudine di consumare fuori stagione alimenti di cui è ricca anche l’Italia».

Ma consumare frutta e ortaggi fuori stagione non è la nostra sola specialità: l’altra è svendere i nostri brand d’eccellenza: quelli che hanno esportato nel mondo il blasone del Made in Italy. Quelli come il pastificio Garofalo, tra i principali attori nel segmento della pasta premium di alta qualità che – è notizia di queste ore – ha siglato un accordo preliminare per l’ingresso nella propria compagine azionaria, con il 52% del capitale sociale, di Ebro Foods, gruppo multinazionale che opera nei settori riso, pasta e condimenti, quotato alla Borsa di Madrid. Un altro dei nostri gioielli che finirà nel forziere di investitori stranieri…

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