Robledo smentisce nuovamente Bruti Liberati: tolse l’inchiesta Ruby a Nobili senza interpellarlo

19 Mag 2014 21:30 - di Redazione

Non è vero che la decisione di far coordinare a Ilda Boccassini, capo della Dda di Milano, il caso Ruby fu presa con il consenso del collega Alberto Nobili, responsabile del Dipartimento sui soggetti deboli e sino a quel momento referente del pm che aveva in mano il fascicolo Antonio Sangermano. A smentire radicalmente la ricostruzione del procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati, confermata peraltro dalla stessa Boccassini nella sua audizione del 12 maggio scorso davanti al Csm, è il procuratore aggiunto Alfredo Robledo con una nuova nota inviata a Palazzo dei marescialli sul contrasto che ormai da mesi lo oppone al capo del suo ufficio chiedendo anche al Csm di ascoltare Nobili il quale, si presume, dovrebbe fornire elementi a supporto del racconto di Robledo.
In cinque pagine fitte fitte, supportate da numerosi allegati, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo sembra voler alzare ancora il livello dello scontro, anche con dettagli nuovi sull’indagine che ha portato alla condanna di Silvio Berlusconi a 7 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
L’obiettivo è senz’altro anche quello di ottenere la riapertura dell’istruttoria che la Prima Commissione del Csm già la scorsa settimana aveva deciso di chiudere per arrivare in quella in corso a una decisione sul caso e che tornerà a riunirsi domani. Nei giorni scorsi Bruti ha raccontato al Csm di una riunione in cui fu deciso che il coordinamento dell’inchiesta Ruby andasse a Ilda Boccassini «di intesa con il procuratore aggiunto Nobili», che – secondo il capo dell’ufficio – fu addirittura «contento» di spogliarsi del fascicolo.
Proprio il consenso di Nobili invece, secondo Robledo, non ci fu o per lo meno non fu «preventivo ed espresso. E’ noto in via diretta allo scrivente che il collega Nobili non e’ mai stato interpellato sul punto, nè richiesta la sua opinione», scrive il pm, secondo il quale il collega «venne meramente informato della decisione che era già stata presa dal Procuratore, decisione della quale si limitò a prendere atto senza interloquire o commentare in alcun modo».
E visto che «è stata resa al Csm una dichiarazione del tutto difforme dall’effettivo svolgimento dei fatti», Robledo chiede al Csm di convocare «in via urgente» Nobili.
Nel resto della nota Robledo risponde ai rilievi mossi da Bruti nei suoi confronti, come quello di non avergli detto di aver querelato l’ex-governatore della Lombardia quando «riteneva di doverlo iscrivere» nel registro degli indagati in relazione all’inchiesta S. Raffaele.
In questo caso il pm si limita a negare la circostanza («devo precisare di non aver mai affermato la necessità dell’iscrizione dell’onorevole Formigoni»), ma ribadisce la sua convinzione che alcuni degli indagati vennero iscritti in ritardo. Quanto all’inchiesta Expo, Robledo insiste che il doppio pedinamento che il capo dell’ufficio ha imputato alla sua responsabilità non è «mai avvenuto», ribadisce che i fatti reato emersi in quell’indagine non riguardano «la competenza specializzata della Dda» e smentisce di aver avuto contrasti con il capo della Squadra Mobile di Milano, come sostenuto dal procuratore. Così come esclude di aver violato il segreto di indagine e dunque messo a rischio l’inchiesta con l’invio al Csm di una corrispondenza interna alla Procura, visto che aveva apposto degli omissis. Intanto mercoledì prossimo il plenum del Csm dovrà esprimersi su un’altra vicenda che riguarda Robledo: un esposto presentato contro di lui dall’ex-sindaco di Milano Gabriele Albertini che lamentava alcuni comportamenti del pm nell’inchiesta Penati-Serravalle e in un’altra su «emendamenti in bianco» al bilancio Comune di Milano. La Prima Commissione ha proposto l’archiviazione, ma con l’invio degli atti al Pg della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare.

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