Nigeria, in marcia le mamme delle liceali vittime di un rapimento di massa

3 Mag 2014 18:47 - di Redazione

In marcia a Lagos per chiedere la liberazione delle loro figlie. Sono le mamme delle liceali rapite in Nigeria circa tre settimane fa dal gruppo integralista armato dei Boko Haram: 223 sono ancora nelle loro mani. E le loro mamme non si arrendono. Anche sabato, a Lagos, hanno sfilato per fare pressioni sulle autorità e ottenere la liberazione, annunciando che continueranno con i cortei. Alla loro voce si è aggiunta quella del segretario di Stato Usa, John Kerry, il quale da Addis Abeba ha detto che «gli Usa faranno tutto il possibile per aiutare la Nigeria nel caso del rapimento». «Proseguiremo con le proteste. Dobbiamo mantenere la pressione sulle autorità militari e politiche affinché facciano tutto ciò che è in loro potere per garantire che queste ragazze siano rilasciate», ha detto Hadiza Bala Usman, una delle organizzatrici della marcia delle mamme a Lagos. L’ansia per la sorte della rapite continua a crescere di giorno in giorno, soprattutto dopo le ultime notizie giunte dal Camerun, secondo cui le ragazzine sarebbero state portate nei Paesi confinanti e costrette a sposarsi. Il rapimento di massa delle studentesse, di età compresa tra i 12 e i 17 anni, é avvenuto il 14 aprile scorso quando un commando di Boko Haram le ha prelevate da una scuola di Chibok, nello stato del Borno. Alcune sono riuscite a fuggire, ma altre sono ancora nelle mani del gruppo integralista che ha imposto il terrore nel nord della Nigeria. Le famiglie delle ragazze protestano contro il governo e il modo in cui sta operando dopo il rapimento. Mamme e donne sfileranno martedì prossimo davanti al ministero della Difesa e all’edificio del capo di stato Maggiore «per chiedere cosa stiano facendo per ottenere la liberazione delle liceali». Dopo la grande manifestazione davanti all’Assemblea nazionale mercoledì scorso ad Abuja, decine di donne organizzano sit-in quotidiani di quattro ore durante i quali «pianificano nuove forme di protesta», e per chiedere l’intervento della comunità internazionale.

 

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