Libia in fiamme, la Ue (come al solito) se ne lava le mani. Per l’Italia si profila un’altra emergenza sbarchi

19 Mag 2014 17:49 - di Antonio Pannullo

È veramente tutta da ripensare l’Unione Europea. Almeno a giudicare dalle recenti non prese di posizione sul dramma libico. Dopo aver appoggiato la guerra alla Libia e al “tiranno” Gheddafi insieme con la Francia, oggi la Ue si dice solo «profondamente preoccupata per il significativo deterioramento della situazione sia politica sia della sicurezza» in Libia. Lo dice il portavoce di Catherine Ashton, Michael Mann, in una dichiarazione in cui «deplora la perdita di vite umane a Bengasi e Tripoli» ma non prende posizione sull’attacco al parlamento limitandosi a un generico e scontato appello a tutte le parti a fermare il bagno di sangue e evitare ulteriori violenze e «a lavorare insieme per arrivare a una democrazia stabile». L’Europa quindi, come si evince da queste dichiarazioni, è ancora convinta di aver fatto bene a intervenire con le armi in Libia. In una situazione che fonti diplomatiche europee definiscono eufemisticamente come caotica e in cui il premier «non è completamente legittimato», la Ue comunque «sottolinea il suo impegno – ha detto Mann – il suo impegno a sostegno del popolo libico per completare la transizione democratica in corso». Ma a favore di chi o prendendo le parti i chi non è dato di sapere. È l’ennesimo pasticcio della politica estera europea che sta dando i suoi macabri frutti nelle morti dei migranti che dal Maghreb fuggono sempre più numerosi vero la sponda più vicina. Che, guarda caso, è quella italiana. Se ne è reso conto il premier Matteo Renzi, secondo il quale la Libia, «da cui proviene circa il 96% degli sbarchi nelle nostre coste, è una priorità assoluta». E chiama in causa proprio chi vorrebbe lavarsene le mani, ribadendo la necessità «di un coinvolgimento di Onu e Ue per risolvere la questione insieme. L’Italia è pronta a fare la propria parte – ha detto – consapevole che la Libia è il problema più forte nel Mediterraneo». Renzi ha poi aggiunto che «la vicenda libica non si risolve se non per via internazionale, nessun singolo Paese può da solo pensare di risolvere una situazione drammatica come quella libica», come invece intese fare la Francia a suo tempo, ma questo Renzi non lo ha detto. Ha detto invece che «la situazione in Libia non è un nuovo caos, è un vecchio caos che ancora non ha trovato una risoluzione. Porrò il tema con grande determinazione – ha concluso – sia il 27 a Bruxelles che al G7 del 4 e 5 giugno sempre a Bruxelles perché è del tutto evidente che la vicenda libica non si risolve se non per via internazionale». Più chiaro di così, è una chiamata alla responsabilità che da tempo andava fatta, e ci voleva una ennesima guerra civile in un Paese “liberato” dall’Occidente, come Iraq o Afghanistan, tutti diventati insieme alla Libia delle nuove Somalia, per scuotere le coscienze internazionali. Intanto giungono appelli dal terreno: «La situazione è complessa, oggi migliore di ieri, sembra essere tornata a una certa normalità ma dobbiamo monitorare la situazione tenendoci in stretto contatto con i nostri connazionali», ha detto l’ambasciatore italiano in Libia Giuseppe Buccino Grimaldi  dopo l’assedio al parlamento libico, smentendo le voci secondo le quali alcuni imprenditori sarebbero rimasti bloccati in un albergo. «Il paese è a un bivio – ha aggiunto -: da una parte c’è una Libia forte e democratica e dall’altra il caos” bisogna capire in quale direzione si andrà». Il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia accusa di aver sottovalutato gli avvertimenti: «In Libia è ancora una volta guerra. Il generale Khalifa Haftar ha assaltato il Parlamento e le vittime aumentano. Oggi si riparla di emergenza libica ma la verità è che quello che sta accadendo era facilmente prevedibile. Ed è il frutto della fallimentare politica estera di Obama che in maniera irresponsabile insieme a Sarkozy, e con il sostegno di Napolitano, vollero la sciagurata guerra in Libia. La morte di Gheddafi ha causato solo un vuoto di potere che ha alimentato il golpe di questi giorni». E chiarisce: «Chi ha finanziato Khalifa Haftar? – domanda Gasparri – Chi ha concesso che la Libia diventasse terra di nessuno, in preda a bande in lotta tra loro? Si dia merito a Berlusconi di aver cercato di evitare questo disastro. Fu l’unico, inascoltato, che si oppone alla guerra contro la Libia. Conosceva quella terra e sapeva che si sarebbe aperto un vuoto enorme. Anche Napolitano preferì ascoltare i venti di guerra americani e francesi. Berlusconi aveva ragione. Non solo nuovi morti, ma anche nuove partenze di immigrati diretti sulle nostre coste nell’indifferenza totale dell’Unione europea e nell’incapacità del nostro governo di dire basta a operazioni fallimentari come Mare Nostrum. Sono queste le conseguenze di scelte pessime. Serve – ribadisce Gasparri – una politica estera credibile e seria urgentemente. Renzi si renda conto che governare vuol dire anche di questo». E conclude con la ferma richiesta di bloccare “Mare Nostrum”: «Bisogna bloccare immediatamente l’operazione, perché stiamo incoraggiando tutti i disperati del mondo a venire in Italia. Bisogna ammettere – ha spiegato – che chi volle l’aggressione alla Libia sbagliò. Allora Berlusconi fu considerato esitante e nel 2011 disse che si sarebbe aperto un vuoto enorme in Libia. Tre anni dopo assistiamo a una guerra civile proprio in queste ore, forse sarebbe stato meglio gestire l’esistente». Il premier da parte sua è tornato sull’argomento rassicurando che «a Tripoli la Farnesina è operativa per la sicurezza e l’incolumità» degli italiani. Da parte sua l’Eni sta monitorando la situazione in Libia e opera con continua attenzione alla sicurezza del personale, condizione che rappresenta la prima priorità, ha infatti detto un portavoce di Eni, che «per il momento non ha adottato provvedimenti di evacuazione del personale: le attività produttive proseguono in linea con il trend del primo trimestre». Infine, brutta avventura per alcuni nostri connazionali nella capitale, che però dicono: «Abbiamo deciso di restare a Tripoli fino a giovedì, come da programma, tutti tranne un imprenditore che rientrerà in Italia prima. L’ambasciata assiste sia chi parte sia chi ha scelto di rimanere qui. Fino a questo momento non ci sono piani di evacuazione: il desk Alitalia ha confermato tutti i voli, e in fiera la situazione è tranquilla, anzi, gli stand sono pieni di gente», ha tranquillizzato Vanessa Ficarelli, a capo della delegazione di imprese marchigiane che partecipa all’expo Libya Build, raggiunta al telefono dall’Ansa. «Ci spostiamo a bordo di shuttle con vigilantes armati, e nel tragitto dall’Hotel Corinthia, dove alloggiamo, alla fiera, nella Tripoli Sports City, non abbiamo visto convogli armati o sentito colpi di arma da fuoco, a differenza di domenica, quando, fino alle 22 circa, fuori dall’albergo si sentivano degli spari. Anche se non siamo mai rimasti bloccati in hotel».

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