La rivoluzione del Def: l’indicatore di benessere. Ma dove sta il lavoro?

10 Apr 2014 16:56 - di Giovanni Centrella

Sul Def al momento circolano indiscrezioni sapientemente “mescolate” a dati certi. Si conoscono le stime del Def definite dallo stesso presidente del Consiglio “rigorose”, tanto da provocare il plauso dell’Ue e dell’Fmi. I quali ci osservano con misurata attenzione. D’altronde le elezioni europee si stanno avvicinando e il rischio di una gigantesca ondata “antipolitica” fa  paura a tutti. Meglio non eccedere nei rimbrotti. È piaciuto il taglio dell’Irpef, perché riduce le tasse ai lavoratori con basso salario (chissà chi li ha ridotti in queste condizioni?) finanziato interamente con tagli di spesa pubblica. Anche se non si sa di che natura saranno i tagli. Renzi ha detto che finalmente si comincia a dare a chi non ha mai avuto e a chiedere a chi non ha mai dato. Gli 80 euro in busta paga, la spending review, l’aumento delle aliquote della tassazione sulle rendite finanziarie, il tetto allo stipendio dei manager pubblici rappresentano un sapiente mix di segnali inviati al ceto medio che si appresta ad andare a votare. A maggio ancora non sarà tutto chiaro, nel senso che il governo grazie alla sua capacità comunicativa e al primo taglio di Irpef riuscirà a sovrastare quelle poche voci che oggi lo contrastano. Che hanno il coraggio di passare per conservatori, vecchi, abitanti della palude. Nel frattempo ancora non si saranno manifestati gli effetti della spending review, della ulteriore flessibilità contenuta in quel poco che ancora oggi si conosce del Jobs Act e introdotta nel contratto a tempo determinato e nell’apprendistato modificati dal dl Lavoro approdato in Parlamento.

Si gioca strategicamente sui tempi. Ma non si potrà ingannare la gente ancora per molto tempo. Qualora le indiscrezioni sul Def in merito alla prosecuzione del blocco degli stipendi pubblici fino al 2020 – già congelati dal 2010 – fosse confermata, del ceto medio rimarrà ben poco. Avremo un esercito di lavoratori poveri nel pubblico e di lavoratori comunque poveri nel privato sotto costante ricatto del licenziamento. La beffa è che nel Def si vorrebbe introdurre il Bes, l’indicatore del Benessere equo e sostenibile. Benessere senza occupazione e senza adeguati stipendi. Ormai siamo alla fantascienza.

*Segretario generale Ugl

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