Brasile, il ministero ritira il latte Parmalat per la presenza di sostanze cancerogene (ma la società smentisce)

19 Apr 2014 13:27 - di Priscilla Del Ninno

Dopo l’escherichia coli nelle tortine di cioccolato Ikea e la carne equina nei ragù pronti Star – solo ultimi, in ordine cronologico, della lunga lista degli scandali alimentari – il ministero della Giustizia brasiliano annuncia il ritiro di oltre 300 mila confezioni di latte a lunga conservazione delle marche Parmalat e Lider, prodotte il 13 e il 14 febbraio. Il ritiro si riferirebbe a 101.220 confezioni di latte col marchio Parmalat, prodotte nello Stato di San Paolo, e a 199.800 di marca Lider, prodotte nello Stato meridionale di Paranà, e sarebbe stato dovuto, secondo un comunicato del ministero, al fatto che nel latte in questione sarebbe stata accertata la presenza di formaldeide, o aldeide formica: un gas incolore dall’odore pungente, altamente solubile in acqua, ritenuto cancerogeno. A stretto giro, però, un comunicato stampa diramato dalla società Lbr Lacteos Brasil Sa – che spiega anche come in Brasile «il marchio Parmalat sia concesso in licenza esclusiva a questa società» – ha reso altresì noto che «dalle analisi effettuate dalla società stessa non risultava contaminazione». Questo, dunque, quanto precisa Parmalat. Il gruppo di Collecchio, poi, ha aggiunto a scanso di equivoci pure che Lbr Lacteos Brasil «stava collaborando attivamente con le autorità competenti».
Tant’è: resta il fatto però che, al di là di dubbi e smentite, è sempre più evidente che, in spregio ai consumatori, gli alimenti che finiscono nei nostri piatti, sono sempre meno sicuri, con buona pace di controlli, certificazioni, etichette. Certo, l’organismo umano non è assuefatto a pericolose sostanze chimiche particolarmente nocive per la salute. E di sicuro noi tutti abbiamo imparato a diffidare del cibo che troviamo sugli scaffali della piccola, come della grande distribuzione, abituati ormai alle cicliche rivelazioni di frodi gastronomiche. Ma la cosa, evidentemente, non ci esenta dal rischio di portare – inconsapevolmente – sulle nostre tavole, alimenti alterati, contaminati, se non addirittura pericolosamente insalubri. E allora, dopo la vergogna dei cibi scaduti rimessi sul mercato. Dopo il pollo agli antibiotici, le uova alla diossina, le mozzarelle fosforescenti (che diventano blu). Accanto all’olio adulterato e al vino senza uva: tutti evergreen della sofisticazione e della contraffazione. Per non parlare delle alterazioni chimiche che “ringiovaniscono” il pesce, che dovrebbe essere fresco, o del latte di mucca sbiancato con calce e soda, proveniente dalla Colombia e dalla Bolivia, nella lista della spesa a rischio oggi si aggiungono nuovi dubbi e sospetti: cosa che, di sicuro, non giova al brand made in Italy e al marchio nostrano che lo rappresenta in esportazione. Casi “incerti” come quest’ultimo del latte, ma anche come, procedendo per eccesso, casi come quello del prosciutto di casa nostra fatto con maiali allevati all’estero. Come quello della pasta realizzata con grano non coltivato in Italia. Come quello della metà delle mozzarelle fatte con cagliate straniere. Come quelli delle arance tunisine (smerciate in spregio ai tarocchi siciliani); del concentrato di pomodoro cinese, dell’olio di oliva turco, del riso vietnamita, del pecorino del Caucaso, non giovano alla credibilità e alla sicurezza dei nostri prodotti. All’attendibilità dei nostri più rappresentativi marchi esportati o prodotti all’estero.

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