Sequestro Moro, le Br “protette” dagli 007? Scatta l’inchiesta sulle rivelazioni di un ex poliziotto

24 Mar 2014 10:46 - di Gabriele Alberti

Le lancette dell’orologio tornano alla mattina del 16 marzo 1978 dopo le rivelazioni del contenuto della missiva sul presunto coinvolgimento dei servizi segreti nelle fasi del sequestro di Aldo Moro. Circostanza in merito alla quale il procuratore generale di Roma Luigi

Ciampoli, interpellato, ha fatto sapere che richiederà gli atti di indagine alla Procura di Roma «per le opportune valutazioni». Dalla ricorstruzione emergerebbe che due agenti dei Servizi segreti aiutarono le Brigate Rosse in via Fani durante il rapimento di Aldo Moro secondo la lettera scritta, presumibilmente, da uno dei due uomini che la mattina del 16 marzo ’78 si trovavano sulla moto Honda presente sul luogo dell’agguato. A rivelare l’esistenza della missiva è stato un ex ispettore di polizia in pensione, Enrico Rossi, che dal 2011 al 2012 ha indagato per identificare l’altro uomo alla guida del mezzo, che nel frattempo è morto. Un’indagine, sostiene il poliziotto in pensione, «ostacolata fin dall’inizio». «L’ennesima occasione persa» per capire chi partecipò – o diede appoggio logistico ai brigatisti – al rapimento del presidente della Democrazia cristiana e al massacro della sua scorta.  Tutta la vicenda «è partita da una lettera anonima scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore dell’Honda in via Fani. Diede riscontri per arrivare all’altro, quello che guidava la moto». Questa lettera anonima fu inviata a un quotidiano nell’ottobre 2009. Questo il contenuto: «Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose, ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente…». L’anonimo forniva elementi per rintracciare il guidatore della Honda: il nome di una donna e di un negozio di Torino. Il quotidiano all’epoca passò alla questura la lettera per i dovuti riscontri. A Rossi, che ha sempre lavorato nell’antiterrorismo, la lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011. Non è protocollata e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto guidatore della Honda di via Fani che secondo un testimone  era a volto scoperto e aveva tratti del viso che ricordavano Eduardo De Filippo. «Non so bene perché, ma questa inchiesta trova subito ostacoli. Chiedo di fare riscontri ma non sono accontentato. L’uomo su cui indago ha, regolarmente registrate, due pistole. Una è molto particolare: una Drulov cecoslovacca; pistola da specialisti a canna molto lunga, di precisione. Assomiglia ad una mitraglietta». La lettera prosegue: «Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla predispongo un controllo amministrativo nell’abitazione. L’uomo si è separato legalmente. Parlo con lui al telefono e mi indica dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla mi dice della seconda. Allora l’accertamento amministrativo diventa perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo, trovammo la pistola Drulov». Ancora:«Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di Cuneo. Chiedo subito di interrogare l’uomo che all’epoca vive in Toscana. Autorizzazione negata. Chiedo di periziare le due pistole. Negato. La situazione si “congela” e non si fa nessun altro passo, che io sappia». Rossi va in pensione nell’agosto del 2012. Tempo dopo, una «voce amica di cui mi fido – dice l’ex poliziotto – m’informa che l’uomo su cui indagavo è morto dopo l’estate del 2012 e che le due armi sono state distrutte senza effettuare le perizie balistiche che avevo consigliato di fare. Ho aspettato mesi. I fatti sono più importanti delle persone e per questo decido di raccontare l’inchiesta “incompiuta”.  Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto nel settembre del 2012 in Toscana. Le pistole sembrerebbero essere state effettivamente distrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a Roma dove è tuttora aperta un’inchiesta della magistratura sul caso Moro.

 

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