Pesce d’aprile: dal 1 la tagliola agli stipendi d’oro dei manager. Ma per Moretti non vale

29 Mar 2014 12:34 - di Redazione

Non è uno scherzo d’aprile, ma uno dei tanti capricci della politica italiana, quella delle eccezioni per gli amici degli amici. Dall’1 aprile i super compensi dei manager pubblici, che in molti casi raggiungono cifre stellari, verranno tagliati, come stabilito dal decreto del Fare del defunto governo Letta, ma con delle esclusioni eccellenti. Il prossimo 1 aprile 2014, spiegano dal Ministero di  XX Settembre, entrerà infatti in vigore il decreto ministeriale del 24 dicembre 2013 «che integra e completa il quadro normativo che regola i compensi degli amministratori con deleghe delle società non quotate controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze». In pratica il provvedimento stabilisce un tetto massimo agli stipendi degli ad delle società controllate dal Tesoro secondo tre fasce classificate per complessità «in base a valore della produzione, investimenti e numero di dipendenti». Per ciascuna fascia è stato fissato un limite retributivo: per la più alta il tetto è pari al 100% del trattamento economico del presidente della Cassazione (311.658,53 euro lordi) come stabilito dal governo Monti; per la seconda fascia il tetto è pari all’80%; per la terza fascia il tetto è pari al 50%. Una sforbiciata che, va detto, non metterà alla fame i manager pubblici ma ridurrà pesantemente gli emolumenti d’oro ai quale sono abituati: tanto per fare un esempio Pietro Ciucci, presidente di Anas, partecipata al 100 per cento dal Tesoro, dovrà accontentarsi di 311mila euro e spicci, un’elemosina in confronto ai 750mila euro guadagnati nel 2013 (mezzo milione di retribuzione fissa e 250mila variabili). La nota del Ministero però specifica anche che i limiti non riguardano Enel, Eni, Finmeccanica, Ferrovie, Cdp e Poste. In poche parole le retribuzioni più alte non vengono toccate grazie a un meccanismo che prevede, per le società quotate in Borsa (come Eni, Enel e Finmeccanica) che sia l’assemblea degli azionisti – in occasione dei rinnovi dei Consigli di amministrazione – a deliberare sull’adeguamento dei compensi dei presidenti e degli amministratori con deleghe alla norma e che il rappresentante del Ministero dell’Economia non abbia diritto di veto visto che è vincolato a votare favorevolmente la proposta. Una disparità di a disparità di trattamento con le società pubbliche non quotate  sulla quale il legislatore appare molto distratto. Insomma Palazzo Chigi è stato molto sensibile al grido di dolore dell’amministratore delle Ferrovie dello Stato Mauro Moretti che, scatenando l’ira generale, qualche giorno fa aveva minacciato di lasciare la poltrona e di espatriare (visto che all’estero le qualità della governance pubblica sono più apprezzate) se il governo avesse messo mano al suo portafogli. A pensar male si fa peccato ma quasi sempre s’indovina: il decreto sembra cucito su misura dei super manager a capo dei colossi dell’industria dello Stato quotati che hanno stipendi da capogiro a sei cifre come l’ad di Eni, Paolo Scaroni e il collega di Enel, Fulvio Conti. Ma è meglio fare finta di niente come consiglia il ministro Maurizio Lupi che oggi ha invitato a non fare polemiche con Moretti perché «Ferrovie è diventata efficiente nell’Alta velocità e ha dimostrato di poter vincere la concorrenza». Le retribuzioni dei manager pubblici, che continuano a sollevare l’indignazione dei povericristi alle prese con i tagli delle buste paga, sono finiti da tempo sotto la lente della Corte dei Conti che finora ha aperto due filoni d’inchiesta sullo sforamento del tetto di 300mila euro previsti dal governo Monti. Molto spesso è dovuto a un vero e proprio conflitto d’interessi visto che molti dirigenti di aziende pubbliche sono anche presidenti dei consigli di amministrazione delle società pubbliche per le quali lavorano come dipendenti e dunque solo loro a decidere quale somma destinarsi come retribuzione.

 

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