Libri della settimana: vincitori e vinti, l’amore coniugale, il non-luogo che si fa nazione, gli alberi come medicine e la Grande Guerra vista da De Roberto

3 Mar 2014 16:21 - di Renato Berio

Francesco Paolo d’Auria è un ingegnere appassionato di storia. Nel suo ultimo libro  si sforza di confutare l’assioma “vincitori angeli del bene in guerre giuste, vinti demoni malvagi”. Le guerre sono tutte ingiuste per il fatto che vince sempre chi è più forte, più ricco, più violento. Il più forte non è mai l’oppresso ma è l’oppressore. Per un mondo di vera pace occorre che i vincitori ammettano i loro crimini e si prostrino sulle tombe delle loro vittime. D’Auria richiama solo alcuni esempi di eventi tragici, ben noti agli studiosi, su cui si stendono, come una pesante cappa di piombo, una negazione della memoria ed un silenzio omertoso che non consente una attenta ed aperta discussione sugli eventi funesti del XX secolo. L’aver creato un Tribunale ad hoc per codificare la colpevolezza dei nemici vinti mettendoli a morte e, allo stesso tempo, assolvendo, senza alcun processo, i vincitori colpevoli degli stessi delitti, è quello che i latini definivano “maximus jus, maxima injuria”. (Quousque tandem. Crimini dimenticati, ediz. Pagine, pp. 367, euro 25)

Un romanzo provocatorio perché racconta la grandezza di un amore, quello coniugale. Ernesto è un sessantenne, da poco ha perso la moglie, gli sono rimasti due figli, entrambi sposati, e due nipoti. Ernesto è un romanziere di successo. Ma ciò che gli è capitato è definitivo, inammissibile, gli ha tolto il gusto della scrittura, la voglia di raccontare gli altri, le altre vite. Segue le vicende dei figli e dei nipoti, così complicate e vorticose come tutte le esistenze di oggi, ma qualcosa di insanabile se ne sta annidato dentro di lui. Una brace. Fino a quando Ernesto conosce un’amica di sua nuora. Una donna giovane e sensuale che inaspettatamente riaccende in lui un senso delle cose che fino a quel momento si era assopito. Càpita, è in fondo solo uno dei mutamenti dello stare al mondo. Ma qui c’è qualcosa di più. C’è uno scrittore che si è impedito di scrivere, un uomo che si è impedito di amare. E l’amore torna a bussare alla porta, buttando all’aria ogni impedimento. Giorgio Montefoschi rovescia tutti i luoghi comuni sul matrimonio, è affascinato dalla misteriosità del banale. Carla è argento vivo, vivo fino alla morte. Con il suo tran tran di gesti, piazze, oggetti, abitudini, con quella nostalgica, lenta, fibrillazione di cose non dette, sospese tra i tempi La fragile bellezza del giorno (Bompiani, pp. 226, euro 17,50) è forse il suo romanzo più intimo e universale.

Sempre più individui commerciano su scala internazionale, hanno un lavoro internazionale e amori internazionali, si sposano, vivono, viaggiano, consumano, cucinano in una dimensione internazionale, i loro figli vengono educati in un contesto internazionale, cioè plurilingue, e nel ‘nessun-luogo’ generalizzato della televisione e di Internet. Se non ci sono più le frontiere, quale mondo si sta formando o si è già formato? Se si dischiude lo spazio di potere mondiale al di là delle vecchie categorie di ‘nazionale’ e ‘internazionale’, forse il futuro dell’umanità si apre di colpo. Interessante, come sempre, l’indagine di Ulrich Beck sulle società del nostro tempo. (Potere e contropotere nell’età globale, Laterza, pp. 472, euro 12)

L’albero è il simbolo della vita, una presenza che non solo abbellisce il paesaggio intorno a noi, ma che ha un ruolo fondamentale per la nostra salute: purifica l’aria, funge da barriera acustica e visiva, produce ossigeno, riduce l’anidride carbonica, cattura polveri. Ci fa inoltre risparmiare energia, grazie al suo potere rinfrescante in estate e alla protezione dai freddi venti in inverno, senza contare che i suoi frutti sono fonte di nutrimento e il suo legno materiale con cui riscaldarci. In questo libro di Riccardo Ferrari, frutto dell’assidua frequentazione di alberi da parte del suo autore, troverete indicazioni pratiche su come riconoscerli, allevarli e prendervene cura, ne conoscerete la storia, così da poterne apprezzare l’importanza, e soprattutto imparerete piccoli ma significativi gesti per contribuire alla conservazione di un patrimonio universale. (Chi pianta alberi vive due volte, Ponte alle Grazie, pp. 128, euro 10)

La paura è un capolavoro assoluto. In un racconto diventa devastante accusa contro la guerra. Un gruppo di soldati italiani provenienti da varie regioni è bloccato in una trincea sotto il tiro micidiale di un cecchino austriaco che impedisce loro di uscire allo scoperto. L’ufficiale, un uomo sensibile ai sentimenti e alle paure dei suoi soldati, deve però mandarne fuori uno alla volta per raggiungere un posto di vedetta sguarnito. Vediamo così sfilare e morire uno ad uno i suoi uomini. Ognuno di loro racconta in dialetto il proprio terrore  “La paura”, “Rifugio”, “La retata” e “Ultimo voto” sono i quattro racconti che Federico De Roberto, l’autore dei “Viceré” e dell’“Imperio” pubblicò su giornali e riviste tra il 1919 e il 1923, e che vengono ora riproposti nell’avvicinarsi del centenario dallo scoppio della Prima guerra mondiale.  (La paura e altri racconti della Grande Guerra, E/O, pp. 144, euro 14)

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