Se il premier delle “strane intese” si affida alle strade della Provvidenza…

11 Feb 2014 17:59 - di Silvano Moffa

Non è con le frasi sibilline e con i tentativi di sdrammatizzare la situazione di confusione, che regna sovrana in casa Pd, che l’Italia si salva. Il premier Enrico Letta, in visita  all’Expo , dopo aver  compulsato il Quirinale, ha candidamente ammesso che il  suo governo si affida alla provvidenza. In barba al significato teologico e a taluni indirizzi filosofici di orientamento religioso, ci sembra di capire che il presidente del Consiglio abbia voluto usare questo termine piuttosto nel senso di indicare che le vie della provvidenza sono infinite. Come a dire, che  sono tanti i modi per arrivare ad uno scopo. E lo scopo di Letta, neppure tanto nascosto, è quello di durare il più a lungo  possibile. Anche a costo di cambiare un nutrito gruzzolo di ministri, mettendo in campo un non ben definito patto di coalizione. Siccome, però, da pieddino di scuola e ascendente democristiano, conosce le insidie di Palazzo , sa perfettamente che bisogna sempre avere una ipotesi subordinata, una alternativa, una via d’uscita, ove l’obiettivo primario dovesse cedere e venir meno. Così, il Nostro si prepara ad alzare la posta, e a vendere cara la pelle. Se,contrariamente a quel che dice, Renzi dovesse  accorciare i tempi della sua ascesa a Palazzo Chigi, sarebbe giocoforza trovare una soluzione che lo gratifichi e gli renda l’onore delle armi. Provvidenza a parte, il gioco rischia di spazientire ancor più gli italiani. Il quadro economico e sociale è tra i più foschi. Le elezioni Europee sono alle porte, mentre cresce la disaffezione nei confronti dell’euro e avanza ,  ovunque, il fronte del No. Le polemiche  sono all’ordine del giorno. Intrecciate ed amplificate dalle ultime rivelazioni sulle manovre quirinalizie che diedero vita al governo Monti, dopo aver disarcionato, senza un esplicito voto di sfiducia in Parlamento, il governo Berlusconi nel 2011. Se fossimo in una Paese normale, tanto per usare un’espressione tanto cara a D’Alema, non  ci sarebbe altra strada che quella delle elezioni. Con l’unica obiezione che, senza    una nuova legge elettorale, sarà difficile sciogliere le Camere. E’ questo  l’unico ostacolo vero che mantiene in stallo la situazione. Un punto di forza e di debolezza, se vogliamo. Tutti sanno, sia Renzi sia Letta, che Napolitano su questo punto è irremovibile. Né potrebbe agire diversamente, il Capo dello Stato. Salvo che, indispettito dalle accuse che  gli vengono rivolte e provato dal nullismo politico che lo circonda, Napolitano tiri i remi in barca aprendo, con le sue dimissioni (peraltro,già minacciate),una crisi istituzionale dai contorni imprevedibili. Il sindaco di Firenze ha lasciato intendere che nella direzione del Pd di giovedì si deciderà il da farsi: se si potranno    “ricaricare le batterie di un governo scarico” , una volta incassato il cosiddetto Italicum, frutto dell’accordo con il Cavaliere, oppure se salterà tutto. Intanto, nei   palazzi del potere economico-finanziario, dove si fa un gran tifo per Renzi,  si prepara l’ennesima truffa a spese degli italiani. Va dato atto a Dagospia di aver sollevato il coperchio su una pentola ribollente, mettendo a nudo le intenzioni del Governatore  della Banca d’Italia annunciate in un discorso al Forex , l’associazione dei cambisti italiani. Citiamo Dagospia , perchè la notizia soltanto ora trova spazio sui grandi quotidiani, dopo essere stata sottaciuta e glissata. Il 9 febbraio Dagospia riporta le parole di Visco  che propone la costituzione di una “bad bank”, dove far confluire tutti i crediti inesigibili, di cui è zavorrato il sistema bancario italiano. «Il progetto è il seguente: prendiamo tutti i crediti problematici che abbiamo elargito in questi anni a palazzinari, amici degli amici e falliti vari e avariati e su progetti sballati  e li mettiamo in una scatola (società di scopo)» (Dagospia). Poi interviene lo Stato italiano a garantire i crediti. Così, alla fine della giostra, il conto lo pagheranno gli italiani. Una bella trovata , non c’è che dire. Che trova consenziente, dopo qualche indugio, il Tesoro, dove alberga Saccomanni, guarda caso uomo di Bankitalia. Riferisce Repubblica (come sempre pronta a sostenere siffatto potere finanziario) che questo è un modo per «evitare che le banche contribuiscano ancora a lungo alla paralisi di un Paese ormai allo stremo». E lo spiega così: «Il sistema più immediato è l’attivazione di coperture o garanzie pubbliche per permettere un deflusso più rapido dei crediti in default dalle banche verso una “bad bank” di sistema: una società-veicolo che compri e gestisca a scopo di profitto i portafogli deteriorati del sistema creditizio». Come sia possibile gestire portafogli deteriorati e crediti spazzatura è difficile immaginare.  Più verosimilmente si tratta soltanto di un ennesimo, grande imbroglio. Rispetto al quale (è sempre Repubblica che lo scrive) l’unico ostacolo può essere rappresentato da un governo che non fosse all’altezza di una tale operazione. Ragione per cui la staffetta a Palazzo Chigi si impone. «Cosi come si vuole colà dove si puote», esclamerebbe il Poeta. In fondo, via Nazionale ( sede di Bankitalia) non dista molto dal Colle più alto.

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