La resistenza di Letta complica i piani di Renzi e scarica tutto sul Pd. Proprio come aveva previsto Napolitano

12 Feb 2014 16:34 - di Mario Landolfi

La notizia è che Letta intende resistere al pressing di Renzi. L’assenza di una nota ufficiale al termine di un incontro durato più di un’ora segnala che il colloquio è andato male ed autorizza a prevedere che passaggio di testimone tra i due, ove mai avvenisse, sarà tutt’altro che indolore né privo di conseguenze. Prova ne sia che il premier ha immediatamente confermato la conferenza stampa convocata per illustrare i capisaldi di “Progetto Italia”. Quasi a voler dire: “Io vado per la mia strada, provate a sfiduciarmi”.

La resistenza di Letta all’ipotesi di una staffetta dolce a Palazzo Chigi complica sicuramente i piani di Renzi, ma non solo: anche la minoranza del Pd – che di certo non ama il segretario – aveva sperato nell’avvicendamento consensuale alla guida del governo per evitare di dover scegliere chi tra i duellanti gettare via dalla torre. Del resto, è la drammatica traduzione politica di quel “la parola sta al Pd” con cui Napolitano ha caricato sulle spalle del maggior partito il peso della decisione.

L’imminente riunione della direzione nazionale si annuncia dunque decisiva. Se nessuno tra Letta e Renzi recede, la crisi del governo sarà aperta in Parlamento con tutto quel che una scelta del genere comporta in termini di immagine e di consensi elettorali del Partito Democratico. D’altra parte, la prospettiva di una crisi parlamentare e delle sue spinose conseguenze è l’unico deterrente di cui il premier dispone per dissuadere Renzi. Logico che voglia sfruttarlo. Così com’è logico che Renzi cerchi di scansarlo: non è facile per il segretario di un partito sfiduciare un presidente del Consiglio che ha in tasca la sua stessa tessera per poi renderne il posto. Il fantasma di Prodi defenestrato da una manovra di palazzo e poi rimpiazzato da D’Alema terrorizza ancora il centrosinistra. Certo, a differenza di Letta, il Professore le elezioni le aveva vinte, ma la sostanza è quella e neanche il buon successo ottenuto alle primarie conferisce alla manovra avvolgente di Renzi il crisma di un’autentica legittimazione popolare.

Se l’assalto di Renzi al governo fallisce, l’alternativa alla crisi è un Letta-bis e a quel punto la situazione si capovolgerebbe con il segretario sulla difensiva per non essere costretto ad ingoiare un rimpasto mascherato con suoi ministri dentro. Esattamente quel che ha sdegnosamente rifiutato fino a ieri. Ed è presumibile che una soluzione del genere finirebbe anche per riportare sotto la regia di Palazzo Chigi i tavoli finora hanno rigidamente separati dell’attività di governo e del pacchetto delle riforme, elettorale e costituzionali. Insomma, l’esito del derby è tuttora “da tripla”. Ma è un dato ormai acclarato che la passeggiata trionfale che Renzi immaginava di dover fare da Largo del Nazareno a Palazzo Chigi si sta rivelando più che accidentata. In campo restano le tre ipotesi iniziali: elezioni anticipate, governo Renzi e Letta bis. Ma la resistenza all’assalto consente al premier di recuperare insperati margini di manovra.

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