Il “tafazzismo” continua ad imperare in casa Pd. E i consensi non sono un granché

6 Feb 2014 19:25 - di Oreste Martino

Angelino Alfano con una battuta ha fotografato il problema del Pd della Terza Repubblica, paventando il rischio che il dualismo tra Matteo Renzi ed Enrico Letta paralizzi in futuro la sinistra così come l’ha paralizzata in passato la competizione tra Massimo D’Alema e Walter Veltroni.

Il problema esiste e ormai è diventato più che una piccola questione. Dalla vittoria alle primarie del sindaco di Firenze il Partito democratico ha imboccato la stessa strada autolesionista che caratterizza la sinistra dall’era Occhetto a oggi. Da un lato c’è un segretario rampante e sgomitante, desideroso di cambiare a tutti i costi, dall’altro un premier passista, pronto ad usare le liturgie della vecchia politica e la sponda del Quirinale per andare avanti sulla sua strada, forse nella speranza che il tempo logori anche l’ultimo segretario del partito. È evidente che questo dualismo non più strisciante e sotterraneo oltre a far male al governo fa danni ingenti al Pd. Palazzo Chigi è ormai sotto un bombardamento incessante, con Renzi che mette all’angolo il rivale di partito ogni momento, chiedendogli di “giocare a carte scoperte”, accusando l’esecutivo di far poco e auspicando un cambio di passo che però non favorisce e non asseconda, soprattutto quando sfugge alla richiesta del premier di concludere e avviare l’agenda di governo per il prossimo anno. Il segretario non vuole intrupparsi in “Impegno 2014” senza aver prima portato a casa la definizione della legge elettorale e l’incardinamento dell’abolizione del Senato, quindi lascia il collega di partito a logorarsi col cerino in mano, dando la stura a ogni sfogo, a partire da quello della Confindustria di Squinzi.

Mentre il “tafazzismo” continua ad imperare in casa Pd ci si accorge anche che l’onda lunga dei consensi si è fermata e che come sempre l’incapacità di allargamento della sinistra la inchioda intorno a quel 35% da cui non è mai riuscita a staccarsi. In passato a dare una chance è sempre stato un centro in lite con Berlusconi. Accadde nel 1996 quando Prodi vinse grazie all’alleanza con Lamberto Dini, e nel 2006 quando la crisi tra Forza Italia da una parte e l’asse tra An e Udc indebolì il centrodestra, che comunque perse per una manciata di voti. È successo anche l’anno scorso, quando la quasi vittoria del centrosinistra è stata possibile solo ed esclusivamente grazie alla nascita del Terzo Polo che ha sottratto a Berlusconi una parte di voti moderati.

Adesso Renzi dice che l’Italicum è vincente perché elimina il centro e questo è senz’altro vero quanto alla semplificazione del sistema politico, ma dimostra di non comprendere che proprio un sistema che scoraggia la nascita di una coalizione di centro inchioda la sinistra al 35% e obbliga il centrodestra a riunificarsi diventando facilmente maggioranza.

Alla fine, quindi, il sindaco di Firenze potrebbe rendersi conto di essere sì giovane, fresco e vincente in casa sua, ma di non avere comunque i numeri per vincere le elezioni, trovandosi costretto ad andare a Palazzo Chigi con una scorciatoia, senza passare per le elezioni, mandando Letta a fare il commissario europeo e dando vita a nuove larghe intese con tutti per fare le riforme. Potrebbe accadere che colui che doveva rottamare anche le liturgie della prima Repubblica debba usarle per non perire sotto lo scontro con il premier del suo partito e a causa della ritrovata e obbligata capacità del centrodestra di unirsi.

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