Il giudizio della stampa su Matteo: il “marziano” che ha fatto un “comiziaccio”…

25 Feb 2014 10:13 - di

Il giorno dopo, sui principali giornali italiani, è tutto un discorrere dello stile. Anzi dello “stil novo” di Matteo Renzi. E la mano in tasca, e i mercati rionali citati al posto dei mercati finanziari, e Gigliola Cinquetti e lo sberleffo ai senatori (“speriamo sia l’ultima volta che si vota la fiducia qui…”). Che ci sia stato un cambio di verso però è apparso chiaro a tutti, ai favorevoli e ai contrari.

Il Corriere, che con il siluro a Napolitano “golpista”aveva avviato la fase di turbolenza che ha portato Renzi a Palazzo Chigi, si tiene sulle generali, aspetta i contenuti. Scrive Massimo Franco: “Più che un programma è stata illustrata una lista di titoli, elencati con una miscela di passione, confusione e propensione all’azzardo”. Repubblica annota, con Massimo Giannini, che “il premier è il programma”, non stile da una parte e contenuti dall’altra, ma un’unica “rappresentazione” per rendere credibili la persona e le sue promesse.

Velenoso Il manifesto, con un fondo che s’intitola “Il comiziaccio del sindaco”. Norma Rangeri non tollera che il premier si sia rivolto ai cittadini scegliendo toni da talk show. E si capisce già dalle prime battute l’evocazione di una parentela con l’odiato Silvio Berlusconi, che per Il Fatto è apparsa più che evidente. Renzi – è il rimprovero di Antonio Padellaro – ha usato “lo stesso scaltro stile di quando Berlusconi prometteva l’abolizione dell’Ici senza dire con quali soldi, ma poi vinceva le elezioni”.

Su la Stampa sospensione di giudizio, in attesa di maggiore concretezza, ma Michele Brambilla avverte i lettori: guardate che il nuovo premier “la parte del marziano” l’ha recitata di proposito, per mostrare che il suo obiettivo è cambiare il Palazzo, ma “che poi ci riesca a cambiare la vecchia politica è tutto da vedere…”. La comunicazione prima di tutto, sottolinea Carlo Fusi sul Messaggero: “Renzi ha immaginato un trentenne che facendo zapping si imbatte nelle immagini della politica: per trattenerlo e non fargli cambiare canale dopo una manciata di secondi bisognava usare le parole che lui ha usato; gesticolare come ha fatto lui, incalzare, addirittura provocare con gli affondi che gli sono familiari e tanto gli piacciono…”.

I giornali del Pd giustamente si preoccupano del futuro della sinistra. Claudio Sardo sull’Unità si interroga: quel discorso, quello stile, sono l’anticamera della resa al populismo o il suo superamento? Il renziano Stefano Menichini, direttore di Europa, avrebbe preferito un Renzi più istituzionale e quindi più ingessato. Ci voleva, è il suo appunto, maggior rispetto del Parlamento.

I giornali del centrodestra guardano alle cose concrete. Maurizio Belpietro, su Libero, si chiede dove Renzi troverà i soldi per realizzare tutto ciò che ha promesso. E il conservaore Marcello Veneziani, su Il Giornale, ha nostalgia delle categorie destra e sinistra. Renzi non le ha neanche nominate. E in questa velocità di superamento, un po’ troppo “futurista”, Veneziani fiuta la trappola. Con la furbizia, sembra volerci dire, non si superano le vecchie, solide ideologie.

 

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