Da Palazzo Madama riemerge la sordida intolleranza del Pd per l’asse con il Cav

6 Feb 2014 12:22 - di Silvano Moffa

Precarietà è un termine che non dà luogo ad equivoci. Indica incertezza, instabilità, una condizione perennemente sospesa, in bilico tra tenuta e caduta. Di precarietà si può sopravvivere. Ma è una sopravvivenza che logora e inquieta. Prima o poi, il filo si spezza. Di governi precari, nel nostro Paese abbiamo fatto incetta. Con l’inventiva che non ci manca, e una buona dose di arguzia, siamo persino riusciti a classificare la durata di un esecutivo, e la sua precaria condizione, in rapporto alle stagioni dell’anno. Ricordate i governi estivi e balneari di andreottiana memoria? Insomma, non ci siamo fatti mancare nulla. E la Precarietà, contraddizione delle contraddizioni, ha persino assurto il rango di una simil-perennità. Capovolgendo le leggi delle fisica, in politica qualcuno è riuscito  a teorizzare che essa rappresenta la condizione migliore per governare vita natural durante. Ovvio che non sia così. Ma tant’è. La politologia di casa nostra è piena di sorprese. Quel che non sorprende affatto è , invece, la condizione in cui ci troviamo in questa fase della politica nostrana. Soltanto degli ingenui potevano pensare che , dopo l’ascesa al trono del Pd del reuccio di Firenze, Matteo Renzi, tutto potesse filare liscio come l’olio per il governo Letta. E che l’accordo sulla riforma elettorale, siglato con l’eterno nemico Silvio Berlusconi dall’intraprendente sindaco, potesse trasformarsi nella panacea di tutti i mali che angustiano e angosciano questa povera Italia. Scrivemmo non molto tempo fa che la strada era irta di ostacoli e sul tragitto dei due sarebbero state disseminate delle mine. Non c’è voluto molto per averne  la  prova. Il presidente Grasso, con la sua autonoma decisione di costituzione di parte civile del Senato nel giudizio intentato dal tribunale di Napoli nei confronti del Cavaliere per la presunta compravendita dei senatori all’epoca del governo Prodi, ha gettato benzina sul fuoco. La decisione , al di là del fatto che non ha precedenti, è pesante nella motivazione. Ha ragione Linda Lanzillotta nel sottolineare che , richiamando un “ineludibile dovere morale”, Grasso di fatto ha affibiato il marchio di immoralità ai senatori  che nel Consiglio di presidenza, a maggioranza, avevano espresso parere contrario alla costituzione di parte civile. In gioco , c’erano fondate ragioni che attengono alla delicata questione della separazione dei poteri tra organi dello Stato, all’autonomia del Parlamento, sempre più offuscato dalla prevaricante azione della magistratura. Non era in discussione, come, da ex magistrato, il presidente Grasso ha affermato , l’accertamento della verità. Su questo i giudici hanno agito e potranno agire senza costrizione alcuna e senza limiti di alcun genere, come peraltro sta avvenendo. Se proprio si vuole tagliare in quattro il capello, il danno eventuale potrebbe configurarsi per Prodi, se sarà dimostrata la fondatezza delle accuse rivolte a Berlusconi. Perchè allora infierire? E perchè non tener conto della delicata fase in cui si muovono il Pd renziano e Forza Italia, cioè maggioranza e opposizione? Limitare l’analisi del momento al gesto di Grasso, però, può persino essere fuorviante. C’è dell’altro che brucia , sia per Renzi che per Berlusconi. L’applauso sguaiato, dall’amaro sapore liberatorio, dei senatori del Pd riuniti in assemblea,che ha accolto la decisione inedita del presidente del Senato, mette a nudo un sentimento di rivalsa, rivela molto più di uno stato d’animo all’interno di quel partito. E’ indice di insofferenza per la piega che stanno prendendo gli eventi, di preoccupazione per la ritrovata centralità del Cavaliere, di mal di stomaco per il protagonismo sbarazzino del neo segretario, per i suoi metodi irrispettosi e arroganti. E’ il sintomo, appunto, di una non sopito conflitto tra Letta e Renzi; di una diversità di filosofia e di impostazione tra i due nella gestione del potere; della differenza di strategia che, per  interessi opposti e difficilmente conciliabili, i due coltivano. E’ inevitabile che tutto questo si scarichi sul governo, mettendolo in bilico. Siccome, poi, le condizioni economiche e sociali del Paese non sono floride e di ripresa si parla soltanto nelle dichiarazioni, mentre i dati macro e micro forniscono valori che le smentiscono, sia Renzi che Letta sanno che non possono privilegiare più di tanto il rispettivo tornaconto personale. Sono, quindi, costretti a trovare un compromesso, un punto di equilibrio, sia pure temporaneo. Ed ecco che torna in ballo la Precarietà. Con tutti i suoi limiti. Perchè nella precarietà si può  sopravvivere, appunto. Ma  si può anche affondare. Purtroppo a soffrirne è soprattutto il Paese.

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