Cyberbullismo, il libro “nero” continua. A Padova si suicida una quattordicenne. La Procura non apre l’inchiesta

11 Feb 2014 15:39 - di Redazione

Lascia ogni volta senza fiato il suicidio di un minore, purtroppo una catena che non si arresta, causato da insulti e istigazioni via web. L’ultima tragedia in ordine di tempo ce la consegna  Padova, dove un quattordicenne si è gettata dalla terrazza sul tetto dell’ex hotel Palace di Borgo Vicenza a Cittadella. Ha scritto di suo pugno cinque lettere: una è quella che la nonna ha ritrovato a casa, scritta per chiedere scusa, per non essere dimenticata, perché mamma e papà la perdonassero di averli delusi. Poi si è gettata nel vuoto ed è morta trenta metri più in basso. Di segnali ce n’erano stati molti, ma forse non era stata presa sul serio: da settimane pianificava la sua morte e aveva confidato il suo disagio manifestandolo anche con atti autolesionisti, ma nessuno aveva capito che faceva sul serio. Il cyberbullismo continua a mietere vittime, se ne parla spesso sui media d’informazione, le famiglie ne sono più consapevoli, ma al fenomeno non si è ancora riusciti a dare una risposta incisiva. Interrogarsi sui motivi che spingono a 14 anni a un atto così definitivo sconcerta ogni volta. Molti casi hanno riguardato ragazzini insultati perché gay e troppo fragili per accettarne le conseguense in una società che sul tema sa fare solo demagogia. Non è questo il caso, non ci sarebbe quindi una spiegazione netta del gesto, se non l’enorme fragilità dell’adolescenza e la fatica di crescere che talvolta appare una fatica incommensurabile. Uccidere e uccidersi sono parole che ricorrevano spesso nelle sue risposte sul social «Ask, fm», una  chat nella quale sfogava le sue frustrazioni. Non  caso utilizzava un’icona a fare da sfondo ai suoi pensieri di morte: l’immagine in bianco e nero di una donna che tiene un cartello con la scritta “help”, aiutatemi. Macché, ha ricevuto solo insulti, leggiamo dal Mattino di Padova.  «Fammi una domanda», è lo slogan di Ask.fm. Ad Amnesia (questo il soprannome usato dalla ragazzina suicida) è stato detto di tutto. «Cosa stai aspettando?» «Di morire», rispondeva lei. Un flusso continuo di botta e risposta. Condito da insulti e inviti: «Secondo me tu stai bene da sola!!!!!!!!!!! fai schifo come persona!!!», «spero che uno di questi giorni taglierai la vena importantissima che ce sul braccio e morirai!!!! ».

Tra domande e risposte si fanno strada i timore di essere grassa e la soddisfazione di esser dimagrita fino a 55 chili. L’accusa di non fumare davvero, di non bere come tutti gli altri: «Sei una ritardata, grassa e culona, fai finta di fumare, ma non aspiri, fai finta di bere, ma non bevi, fai finta di essere depressa per attirare l’attenzione, sei patetica». L’idea della morte, del suicidio diventava ossessiva poco a poco. «Cosa credi che accada dopo la morte? Non lo so diosss, ogni tanto ci rifletto anche D:». «Dove pensi che vivrai tra cinque anni? Vivrò tra 5 anni? wow :’)».

Ricordiamo che Ask è uno tra i social preferiti dagli adolescenti. È basato sul meccanismo della domanda e risposta. La casella «Chiedi in forma anonima» è già flaggata. Di base quindi ci si parla senza conoscersi. Tra gli adolescenti cresce la moda di rinfacciare quello che a volte non si ha il coraggio di dire in faccia. Per per offendere, per vendicarsi, per minacciare. In questi anni Ask è stato trascinato sul banco degli imputati per i fenomeni di cyberbullismo, senza conseguenze particolari. Ask però è un mezzo come un altro, dicono. È un social che gli adulti non conoscono, a cui la scuola non riesce a educare. Uno strumento che può far male. Eppure la Procura di Padova ha deciso di non aprire un fascicolo d’inchiesta sul suicidio della ragazza. Secondo il magistrato di turno non vi sarebbero nemmeno gli estremi per procedere sull’ipotesi di “istigazione al suicidio”. Ora chela ragazzina non c’è più, su Ask non risparmiano domande crudeli neppure al ragazzo con cui era insieme da quasi un mese: «Come farai ora che lei si è suicidata? Ho i miei veri amici vicino che mi aiuteranno a passare questo difficile momento x me, cmq spero che LEI vi distrugga la VOSTRA VITA dall’alto a chi l’ha fatta star male fino a oggi».

Una soluzione pratica alle molestie elettroniche tenta di offrirla “Stopit” , un’applicazione per smartphone che si propone di facilitare la segnalazione di abusi, mettendo nelle mani degli studenti uno strumento rapido per catturare screenshot dei comportamenti dannosi online. Il software, disponibile nelle due versioni per iOS e per Android, è stato presentato nelle scuole americane, in via sperimentale, dal distretto scolastico di Kenilworth, nel New Jersey. Nonostante le reazioni scettiche di alcuni educatori sulla reale capacità di contrastare il problema, proprio combattere la tecnologia con la tecnologia potrebbe rivelarsi il modo migliore per scoraggiare il teppismo digitale. In assenza di altre misure.

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