Voto di scambio, il Senato apre al reato di concorso esterno

28 Gen 2014 17:41 - di Redazione

«Oggi è un giorno buio, stiamo scrivendo una pagina nera della Repubblica e i padri costituenti si stanno rivoltando nella tomba». Non usa mezzi termini, il senatore del gruppo parlamentare Gal, Grandi Autonomie e Libertà, Lucio Barani, per descrivere lo scenario che si sta per aprire con l’approvazione del testo, modificato al Senato, del nuovo ddl sul voto di scambio. La questione gira tutta attorno al termine consapevolmente che nel testo originario arrivato dalla Camera al Senato era presente. Ma che poi è stato cancellato dal Senato aprendo la strada a rischi giganteschi. E consegnando, di fatto, l’Italia, mani e piedi legati, a quella magistratura ideologizzata che già tanti disastri ha compiuto in nome di una visione khomeinista e politicamente orientata della giustizia.
Da Forza Italia la bocciatura è netta: «Si è, di fatto, normato il reato di concorso esterno». Una vecchia idea, quella del concorso esterno, a lungo accarezzata dai magistrati politicamente impegnati a sinistra. Una concezione barbara del diritto. Ora con l’ultimo atto compiuto in Senato il dado è tratto. Certo, il testo ora dovrà passare alla Camera. Ma il più è fatto.
Spiega Barani che l’avverbio consapevolmente – (c’era nel provvedimento licenziato dalla Camera, ma è stato tolto in commissione Giustizia di Palazzo Madama ndr) – era stato inserito appositamente per «evitare che poi magari qualche magistrato politicizzato prenda il sopravvento…».
Il testo, così come era stato approvato dalla Camera dei Deputati, «benché certamente non il migliore possibile, era comunque – osserva Barani – più buono di quello discusso in quest’Aula. La cancellazione della parola ”consapevolmente” inizialmente presente nel testo e poi stralciata, rappresenta certamente un primo e fondamentale punto di criticità. Temo che il testo che ci apprestiamo a votare parta da un presupposto sbagliato che non so dove potrà portarci se riaffermato con questo provvedimento».
La fattispecie in esame così com’è, conclude il senatore Gal, «non va bene perché eccessivamente vaga e priva di una concreta qualificazione del fatto che si vuole opportunamente punire. Le mele marce  vanno eliminate dai rami, senza per questo dover necessariamente abbattere l’albero».

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