Matteo ha apparecchiato il voto, i commensali Silvio e Beppe sono entusiasti. Il Colle ne prenda atto…

17 Gen 2014 10:15 - di Gennaro Malgieri

La coppia scoppia. Non ci voleva un indovino per sapere che così sarebbe andata a finire. Lo stiamo sostenendo da ancora prima che Renzi diventasse il leader del Pd. Che il rapporto con Letta sarebbe stato conflittuale lo capiva anche chi è scarsamente disposto nell’interpretare i  sommovimenti politici. Il primo, per guadagnarsi la scena, aveva bisogno di innalzare un muro tra lui, il “nuovista” e chi, come il premier, aveva ed ha tutto l’interesse a dimostrare che i suoi dieci mesi di governo sono stati molto produttivi. Per quanto la polemica del segretario fiorentino sia strumentale, non possiamo che dargli ragione. Figuracce a parte, l’esecutivo si è distinto per quella sorta di “stabilità” mortuaria che perfino gli osservatori stranieri, pur ben disposti, hanno notato e sottolineato.

Del resto, nell’Italia repubblicana la guerra per la leadership è sempre stata lo sport preferito dalle classi dirigenti. Non è che Renzi e Letta vengano da Marte. Sono i prodotti maturati in fretta di quel sistema partitocratico che, chissà perché, non viene più studiato con l’attenzione che merita neppure da politici che ancora si dicono di destra e che sembrano aver dimenticato che uno degli asset della destra, comunque declinata, è sempre stato quello della critica al partitismo da cui dipende la frantumazione della coesione sociale ed il dispiegamento clientelare che oggi viene presentato come “radicamento territoriale”.

Partitocrati a loro insaputa, insomma, Renzi e Letta si stanno comportando come due galli in uno stesso pollaio per disputarsi le vesti del partito al fine dei assumerne la leadership incontestabile e giocarsi, al più presto, la posta in palio: Palazzo Chigi.

E’ fin tropo evidente che il leader del Pd intende sfruttare le difficoltà oggettive nelle quali si dibatte Letta per diventare il riferimento unico della sinistra. Ed è altrettanto naturale che il presidente del Consiglio risponda piccato facendo presente le difficoltà in mezzo alle quali ha dovuto operare da quando ha assunto l’incarico di guidare il governo. Se poi in mezzo ci si mette la legge elettorale, il pretesto per la rottura traumatica è bello che trovato.

E Renzi non si nasconde davvero dietro un dito. Sa che l’occasione è “unica” ed intende sfruttarla, magari cercando l’alleanza con Berlusconi che molti suoi compagni  si ostinano a bollare come “inopportuna”: un assist confezionato con grande stupidità politica che Renzi ha colto al volo. Ma da che pulpito viene la predica? Gli accusatori, ribatte, non sono gli stessi che fino a qualche mese fa sbavavano per le “larghe intese”, che con Berlusconi per quanto condannato ci convivevano benissimo? Difficile sottrarsi alla obiezione renziana. E dunque che dialogo sia. Anche se dovesse sfociare in una intesa minima su una leggina sostanzialmente scritta dalla Corte costituzionale, che inevitabilmente porterà alle elezioni anticipate.

E’ questo l’obiettivo finale su cui lo scontro tra Renzi e Letta diventerà di giorno in giorno sempre più incandescente. E, crediamo, con buona pace del capo dello Stato, se le tre forze maggiori presenti in Parlamento, Pd, Fi e M5S vogliono il ritorno alle urne, non c’è emergenza che tenga. Il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea? No, non può essere invocato come un ostacolo insormontabile al ritorno alle urne. Incomincerà a giugno. Se si votasse a maggio, magari una settimana o due prima delle europee (è accaduto diverse volte dal 1979 che le due consultazioni si sono svolte in tempi ravvicinatissimi), quale potrebbe essere l’ostacolo?

Non crediamo che Napolitano davvero pensi che la manfrina in corso, destinata a diventare conflitto aperto tra il Pd ed il governo, possa andare avanti senza creare seri problemi al Paese fino alla primavera del 2015 quando, secondo i programmi, si sarebbero dovute sciogliere le Camere. E’ meglio mettere un punto a questa pochade prima che si trasformi in un dramma politico le cui conseguenze, come al solito, le pagherebbero i cittadini.

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