L’intesa Pd-Cav è storica, ma c’è un grave errore nell’accordo sulla legge elettorale

28 Gen 2014 17:55 - di Oreste Martino

Sulla legge elettorale i nodi stanno venendo al pettine. All’indomani dello storico incontro tra Renzi e  Berlusconi nella sede del Pd la riforma sembrava cosa fatta e la strada per la sua approvazione appariva in discesa. Il presidente della Repubblica gradiva l’intesa tra i due principali partiti e il timing parlamentare faceva sperare in una rapidissima approvazione.

Come sempre accade, però, “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” e ad oggi la situazione appare in stallo e a rischio oggettivo di fallimento.

Sia Forza Italia sia il Pd hanno forse esagerato nel prevedere regole molto punitive per i partiti minori, un po’ per spingere il bipolarismo verso il bipartitismo e un po’ – soprattutto dalle parti del Cavaliere – per uccidere in culla qualche alleato. Questo eccesso ha quindi prodotto l’effetto contrario di saldare le formazioni minori con Grillo, che ha come obiettivo quello di far saltare qualsiasi riforma, e con la minoranza del Pd, che non vuole una legge a immagine e somiglianza del neo-segretario. Come sempre accade quando si aprono troppi fronti si rischia di venire accerchiati e ad oggi questa eventualità è molto alta.

Ma vediamo qual è il principale errore dell’accordo Pd-Pdl che può far saltare tutto. Il problema sta nell’incastro delle soglie di sbarramento. La coalizione che prende il 35% dei voti ottiene un bonus del 18% e conquista il 53% dei seggi. I partiti che contribuiscono a questo risultato, però, non eleggono deputati se non superano almeno il 5%. È questa l’anomalia più grave della legge in discussione, ancor peggiore di quella del premio del Porcellum dichiarato incostituzionale dalla Consulta perché palesemente irragionevole.

Facciamo un esempio. La coalizione di centrodestra supera il 35% dei voti ed ottiene il 53% dei deputati. Al suo interno Forza Italia ha il 21%, mentre Lega, Nuovo centrodestra e Fratelli d’Italia prendono il 4,9% a testa. La conseguenza è che alla coalizione che ha preso il 35,7% – e quindi ha superato lo sbarramento – va il 53% dei deputati, tutti assegnati però a Forza Italia perché i tre alleati restano a bocca asciutta nonostante assieme rappresentino il 15% degli elettori e siano stati determinanti a far vincere la coalizione. In questo caso ci sarebbero due distorsioni irragionevoli e incostituzionali, la prima è la mancata rappresentanza di un’ampia fetta di elettorato, la seconda è l’elevata distorsione tra voti ottenuti ed eletti. Nell’esempio fatto Forza Italia con il 21% dei voti otterrebbe il 53% dei deputati da sola, senza doverli dividere con nessuno, incassando un premio del 32%, pari al 150% più di quanto gli spetterebbe in proporzione.

È chiaro che questo punto della legge elettorale difficilmente potrà superare il vaglio di costituzionalità del Quirinale e per questa ragione Renzi e il Pd propongono di alzare l’asticella al 38%. Una soglia più alta trova però la forte contrarietà di Berlusconi e Verdini. Il Cavaliere è contrario perché teme che quel tre per cento in più lo costringa al ballottaggio, che considera un vantaggio per la sinistra, mentre Verdini è contrario perché costringerebbe Forza Italia ad allargare la coalizione e quindi a recuperare un rapporto stretto con Alfano e i suoi, che invece il plenipotenziario di Forza Italia vorrebbe veder morire in culla.

Questo dettaglio apparentemente banale sulla soglia al 35 o al 38% per evitare il ballottaggio può diventare quindi il detonatore capace di far esplodere tutto, trascinandosi nel disastro non solo la legge elettorale, ma anche il governo Letta, la legislatura e la stessa segreteria di Renzi.

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