In India è braccio di ferro tra Corte Suprema e governo sulla sorte dei nostri marò: si decide il 3 febbraio

20 Gen 2014 13:01 - di Sandro Forte

È ormai palese il rimpallo di responsabilità fra la Corte Suprema e il governo, un governo peraltro diviso al suo interno. Dopo la decisione del massimo organo giudiziario indiano di trovare una soluzione entro due settimane allo stallo che sta ritardando il processo ai nostri marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti ingiustamente in India ormai da quasi due anni, dal “Times of India” è trapelata la notizia che il ministero dell’Interno indiano avrebbe autorizzato l’uso della legge antipirateria (il Sua Act), che prevede fino alla pena di morte, come chiesto dalla polizia speciale. Tuttavia la polizia – ha precisato la fonte – «aspetterà il verdetto della Corte Suprema» sul ricorso dell’Italia. «Quello che fa fede per noi è ciò che dirà la Corte Suprema» e non «quello che dicono fonti generiche che appaiono sulla stampa», ha subito precisato l’inviato del nostro governo Staffan de Mistura.
In una breve seduta, durata appena una decina di minuti, i giudici hanno chiesto «di riconciliare il conflitto di opinione all’interno dell’amministrazione» e hanno rinviato l’udienza al 3 febbraio. Nell’illustrare brevemente il ricorso davanti al Tribunale numero 4 l’avvocato Mukul Rohatgi, che guida il team legale dei marò, ha denunciato il grave ritardo del caso. «Lo scorso gennaio – ha detto – la Corte Suprema aveva ordinato la costituzione di un Tribunale speciale che doveva riunirsi su base quotidiana, ma dopo un anno non sono stati neppure presentati i capi di imputazione». «Il comportamento indiano è configurabile come un’offesa al massimo Tribunale», si legge nel ricorso. Il legale ha anche ricordato che sono passati quasi due anni dall’arresto dei marò e che la polizia speciale Nia si è rivolta a un Tribunale diverso da quello che era stato stabilito lo scorso anno per trattare il caso. L’Attorney General (rappresentante legale del governo), Goolam E. Vahanvati, ha replicato ammettendo che «esiste un conflitto di opinione all’interno dell’amministrazione», riferendosi alle divergenze emerse tra ministero degli Esteri e quello degli Interni sull’applicazione della legge antiterrorismo “Sua act” da parte della polizia Nia incaricata di condurre le indagini. Di fronte alle pressioni del team legale italiano, Vahanvati ha poi detto «di avere bisogno di più tempo per conciliare le posizioni». Il giudice B.S. Chauhan, che presiedeva la sezione insieme al collega J. Chelameswar, ha accolto l’obiezione e ha chiesto al governo di ripresentarsi il 3 febbraio con una soluzione. «Ce la farete entro questo tempo?» ha domandato Chauhan sorridendo. «Faremo del nostro meglio» ha risposto Vahanvati. Alla seduta erano presenti l’ambasciatore italiano Daniele Mancini e l’addetto militare, il contrammiraglio Franco Favre.
Nel frattempo l’Italia, seppur tardivamente, prova a far la voce grossa: il ministro degli Esteri Emma Bonino porterà il caso sul tavolo dei lavori del Consiglio Affari esteri dell’Unione Europea, che vedrà riuniti a Bruxelles i capi delle diplomazie dei 28 Paesi. La Farnesina chiede all’India «di mantenere le promesse» riguardo al fatto che il processo ai due militari del reggimento San Marco non rientra nei casi che prevedono la pena capitale. «Se così non fosse – ha avvertito la Bonino – tutte le opzioni sarebbero sul tavolo per la diplomazia italiana». Il vicepresidente della Commissione Ue Antonio Tajani, del resto, lo ha detto chiaramente: «Qualora l’India dovesse far ricorso alla legge antiterrorismo, l’Ue sarebbe costretta a interrompere le trattative sugli accordi per libero scambio e anche a sospendere le facilitazioni tariffarie in atto. I valori dell’Ue – ha spiegato Tajani – non possono essere barattati con il business, per noi è fondamentale la tutela dei diritti umani e l’Ue ha anche ricevuto il Premio Nobel per la Pace proprio per questo». Non solo. La Bonino ha anche fatto cenno alla possibilità di ostacolare in tutte le sedi le ambizioni di New Delhi per un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Nei giorni scorsi il governo italiano ha chiesto che, a due anni ormai dalla morte dei due pescatori indiani, siano presentati subito i capi d’imputazione contro Latorre e Girone escludendo il ricorso alla Sua Act, la legge antiterrorismo che prevede la pena di morte in caso di omicidio, oppure che si permetta loro di tornare a casa in attesa del processo.

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