Forza Italia, parte dal Sud la spinta per una nuova scissione

13 Gen 2014 18:51 - di Mario Landolfi

Non c’è pace in Forza Italia. Non si è ancora sopita l’eco della scissione promossa da Alfano e dalla pattuglia dei ministri che già se ne profila una seconda, forse meno significativa in termini nominalistici ma potenzialmente più esosa in numeri elettorali. In superficie tutto appare tranquillo ma sotto il pelo dell’acqua è fortissima la corrente di chi, come Verdini o più probabilmente Fitto, è pronto a dar battaglia un minuto dopo la nomina dell’attuale direttore del Tg4, Giovanni Toti, a coordinatore unico del partito, cioè nel ruolo che fu di Alfano nel disciolto Pdl. Un antipasto di quel che gli potrebbe essere servito a livello nazionale il Cavaliere lo ha già assaggiato in Campania (ma analoga scelta si starebbe preparando in Puglia), territorio non esattamente periferico nella geopolitica forzista. Qui da una settimana opera un gruppo di ben otto consiglieri nato in gesto di fronda al nuovo coordinatore regionale, la cui nomina è stata fatta risalire da più di un parlamentare a Francesca Pascale. La circostanza che la giovane compagna del Cavaliere sia stata tirata in ballo pubblicamente monda la vicenda da ogni intento gossiparo per conferirle quella di clamorosa contestazione verso la leadership berlusconiana, finora indiscussa.

L’ex-premier ne è perfettamente consapevole. Per questo disegna organigrammi ritagliando ruoli di consolazione per gli scontenti. La soluzione potrebbe consistere in un organismo ristrettissimo (10 dirigenti) a far da intercapedine tra il coordinatore e l’Ufficio di presidenza. Basterà? Nel frattempo un dato appare certo: il Cavaliere non può permettersi una replica del sisma che solo un paio di mesi gli ha fatto significativamente smottare i gruppi di Camera e Senato senza veder compromessa la propria forza contrattuale in una fase decisiva per il varo della nuova legge elettorale. Ma è difficile prevedere se sarà sufficiente lo spettro di una nuova divisione a farlo recedere dai suoi propositi.

Il problema è che in questa fase Berlusconi è un centauro per metà Grillo e per metà Renzi. Del primo vuole mimare la capacità di utilizzo della rete e dei social network, al secondo vuole invece contendere il monopolio del nuovismo, di cui ha avuto l’esclusiva per vent’anni sul mercato della politica. Un compito quasi proibitivo, il suo: solleticare le facce nuove senza insospettire i vecchi volti. Il Cavaliere è abile, ma questo è un vero miracolo.

Comunque sia, il vero punto è tuttavia un altro e riguarda l’incapacità di Forza Italia di dotarsi di un’organizzazione stabile, partecipata, efficiente. Siamo ben oltre l’eterno dilemma tra partito e movimento o l’opzione tra organizzazione leggera e tradizionale. Qui siamo ad un passo da una reazione a catena dove, consumata una scissione, se ne prepara un’altra. L’impero perde pezzi, non solo per esaurimento della spinta propulsiva della leadership (come conferma il dato campano) ma anche in conseguenza dei boatos che si rincorrono sulla legge elettorale, il cui meccanismo attuale, basato su liste bloccate, sembra avviato a sicura scomparsa. Sia che si torni ai collegi sia che si reintroducano le preferenze, il valore del territorio è destinato a risalire nel borsino della politica.

Se la scissione promossa da Alfano ha portato via un pezzo di classe dirigente molto televisiva ma – ad eccezione di Formigoni – poco incisiva in quanto a radicamento territoriale, una seconda che vedesse protagonisti dirigenti come Verdini e Fitto finirebbe per trasformare Forza Italia in un partito esclusivamente mediatico. Può darsi che Berlusconi consideri tale esito come un’opportunità perché sa che, comunque riformato, il sistema di voto finirà per riportare sotto il suo dominio elettorale quel che oggi cede in termini di personale politico e di organizzazione. Ma è pure vero che il suo calcolo potrebbe rivelarsi sbagliato. Parcellizzare la coalizione in mille piccole offerte politiche, come altrettanti canali tv, avrebbe infatti senso solo se a sintetizzarla ci fosse una leadership forte ed indiscussa. Due requisiti che oggi quella del Cavaliere non sembra completamente possedere.

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