Con lo “spagnolo truccato” finisce il bipolarismo e comincia un’altra èra di confusione partitocratica

20 Gen 2014 11:21 - di Gennaro Malgieri

Non inganni il richiamo al bipolarismo. Con la legge proposta da Renzi e sposata da Berlusconi, sarà proprio il bipolarismo a finire in archivio. Intanto, non c’è la certezza che una qualche  coalizione, per come si sono messe le cose, superi il 35% al fine di ottenere un premio di maggioranza del 20% che garantisca la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera, l’unico ramo del Parlamento (altra riforma prevista) abilitata a conferire la maggioranza al governo: il Senato dovrebbe andare il pellicceria, ma non ci crediamo fino a quando non verrà approvata la normativa che lo cancellerà. I seggi, comunque, verranno attribuiti su base nazionale e, dunque, proporzionalmente (addio al maggioritario, ma lo si chiama ancora così per via del premio di maggioranza molto incerto: se nessuno dovesse superare la soglia indicata, evidentemente non ci sarebbe il bonus ed i deputati verrebbero assegnati in proporzione ai voti ottenuti con grave nocumento alla governabilità che pure si dice di voler assicurare).

I cittadini non potranno scegliere i loro rappresentati. Non basta prevedere liste più corte (ma quanto corte?) se poi  restano comunque bloccate, cioè compilate dai partiti i quali non offriranno agli elettori la possibilità di votare per chi vogliono. I collegi  non ingannino: per quanto piccoli, se contemporaneamente non si ridurrà in numero degli eletti, saranno sempre abbastanza ampi (non meno due-trecentomila abitanti) da non garantire la “conoscenza”, peraltro tutt’altro che scontata, tra chi si presenta ed i cittadini. Ci sono altri sistemi che superano il proporzionalismo puro e garantiscono la scelta sulla base di circoscrizioni davvero piccolissime dove si possono confrontare esponenti di partiti diversi che hanno il tempo di farsi notare da tutti, così com’era, per esempio, con il Mattarellum o come sarebbe con il doppio turno (non di coalizione), ma semplicemente “alla francese”.

Sono poi previste due soglie di sbarramento: il 5% per chi si presenta in coalizione; l’8% per chi si presenta fuori. Una barzelletta. Nella seconda ipotesi riuscite ad indicarne qualcuno oltre il Pd, Fi e M5S? E nella prima fascia siamo sicuri che Sel, Lega, Nuovo centrodestra, Scelta civica, Per l’Italia, Fratelli d’Italia (per restare ai gruppi rappresentati adesso in Parlamento) supereranno il quorum richiesto? Abbiamo molti dubbi. Dovranno tutti  cercare di coalizzarsi, ma una volta raggiunto lo scopo, chi garantisce  che non abbandoneranno la coalizione e si mettano in proprio al fine di prendere autonomamente le loro decisioni anche per quanto riguarda la fiducia al governo, posto che l’elezione diretta del premier o del capo dello Stato in questa riforma non è contemplata.

Modello spagnolo? Chiamiamolo come ci pare, ma non inganniamo i cittadini. Di spagnolo la legge che approderà nell’Aula di Montecitorio tra pochi giorni  non ha assolutamente nulla. E’ molto italiana. E’ moltissimo partitocratica (per il prepotere che le segreterie di partito eserciteranno attraverso la compilazione delle liste). E costituisce per di più un passo indietro rispetto al maggioritario che ritenevamo acquisito.

Probabilmente alla fine dell’iter la bozza uscirà peggiorata dal dibattito parlamentare che sarà segnato non dalla necessità  di garantire un principio (il bipolarismo che sostiene, in astratto, la governabilità), ma la l’ingresso di tutte le forze politiche in Parlamento. Se così deve essere – ma Renzi e Berlusconi lo negano vivacemente – meglio un proporzionale puro, tanto, con la legge in discussione, i governi non li faranno più i cittadini, bensì i partiti, ex-post, dunque, rispetto alle elezioni.

Un bel risultato dopo vent’anni di inutili retoriche sulla democrazia dell’alternanza. Convinciamoci: quella che ci meritiamo è la democrazia confusa. Un miscuglio di tutto: insapore, inodore, incolore.

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