Cerroni interrogato: sono l’oracolo, ho salvato Roma, mi dovrebbero fare una statua

15 Gen 2014 21:08 - di Redazione

Si è definito più volte un oracolo. Un benefattore. Di più: il Salvatore di Roma. «Mi dovrebbero fare una statua», ha detto ai magistrati, esterrefatti, che cercavano di interrogarlo contestandogli il sistema che aveva messo in piedi e che gli ha fruttato quarant’anni di indiscusso monopolio miliardario nella gestione del rusco capitolino. In un delirio d’onnipotenza in crescendo, Manlio Cerroni, il “Supremo”, il reuccio della monnezza, ha rigettato le accuse di associazione a delinquere che gli sono state contestate gettando la croce sui politici: «Erano loro che mi venivano a cercare. Io non sono a capo di nessuna associazione a delinquere». Loro, i politici, lo andavano a cercare, spiega Cerroni, «in quanto punto di riferimento in tema di smaltimento di rifiuti».
L’87enne patron di Malagrotta è partito in quarta di fronte al gip e ai pm. Tutt’altro che remissivo e abbattuto per gli arresti domiciliari data la tenera età, in tre ore di quasi monologo, l’avvocato-imprenditore ha ripercorso la sua storia nel ciclo dei rifiuti che, a suo dire, era fatta di operazioni di beneficenza e che «ha evitato a Roma di finire in emergenza».
Dal giorno della sua laurea all’ascesa a dominus del sistema di smaltimento nella Capitale e nel Lazio. Il suo è stato un trattato sui rifiuti, più che un interrogatorio, «sui massimi sistemi» in tema di rifiuti in cui si è ritagliato, a più riprese, il ruolo di salvatore della patria.
«Ho salvato Roma dal caos rifiuti, in questa materia sono l’oracolo», ha sostenuto di fronte ai magistrati interdetti da tanta veemenza. Rivendicando perfino il diritto di avere un monumento in suo onore per quanto ha fatto in questi anni per la Capitale.
E ai magistrati che cercavano di controbattere, Cerroni ha replicato: «Gli esperti? Sono io l’esperto. E’ inutile parlare con consulenti e specialisti: basta parlare con me». Un fiume in piena. «Un leone», chiosano i suoi due avvocati. Che, però, al termine dell’interrogatorio, hanno preferito non presentare richiesta di scarcerazione ai magistrati.
Per nulla provato dalla vicenda giudiziaria che gli è arrivata fra capo e collo, l’imprenditore ha ricostruito la sua carriera nel settore dei rifiuti partendo dagli inizi, da quel lontano 1957, dalla sua laurea. E dalla constatazione che il ciclo dei rifiuti, a Roma, si reggeva su un «sistema burocratico folle». E lui? E lui, nonostante tutto questo, ha «impedito che a Roma si creasse un’emergenza come quella vissuta in Campania». Convinto? Convintissimo. Tanto che mesi fa, per annunciare urbi et orbi questa vocazione alla beneficenza verso Roma e i romani, comprò intere pagine di giornali.

I suoi avvocati hanno toni lirici quando raccontano dell’autodifesa dell’avvocato di fronte ai magistrati: si è comportato «da leone»”. Ma, per essere certi che ai pm sia tutto chiaro il profluvio di dichiarazioni di Cerroni, presenteranno una memoria.
L’idea è quella di “caricare” uno degli aspetti dell’interrogatorio, quello che riguarda i politici. Puntando a sostenere che erano, appunto, i politici che cercavano Cerroni e non Cerroni che cercava i politici. Per il momento, a parte l’ex-presidente della Regione Lazio, Bruno Landi, diventato, nel corso del tempo, il braccio destro di Cerroni, l’unico politico indagato per la faccenda è Piero Marrazzo. Ma i magistrati contano, nelle prossime ore, di alzare il tiro proprio su questo livello politico.
I magistrati, insomma, intendono imprimere un’accelerazione all’inchiesta puntando ad allargare il raggio degli accertamenti che prenderanno nuovo vigore dalle audizioni. Un lavoro non semplice e neanche breve visto che si tratta di scandagliare più di 40 anni di storia della gestione dei rifiuti e dei tantissimi rapporti che Cerroni ha avuto con molti politici e le varie giunte di ogni colore che si sono succedute in Campidoglio e alla Regione Lazio.
Questo ha fatto sì che Cerroni per decenni operasse in una sorta di regime di monopolio perché la maggior parte delle discariche e degli impianti a Roma e nel Lazio facevano parte del suo impero di società dedicate al settore.
Ed è per questo che i prossimi obiettivi che le indagini cercheranno di accertare: la correttezza dei meccanismi che portarono a continue proroghe e autorizzazioni per i siti gestiti direttamente o indirettamente da Cerroni.
Al vaglio dei pm, tuttavia, non è solo il livello politico ma anche quello squisitamente burocratico per accertare come sia stato possibile che tutti gli atti abbiano portato in questi anni sempre a favore del ras delle discariche.
Prima di Cerroni, oggi è toccato a Bruno Landi, ex-presidente socialista della Regione Lazio raggiunto anch’egli da un provvedimento di custodia cautelare, a sfilare davanti ai magistrati della Procura di Roma e al gip. Domani sarà la volta di Luca Fegatelli, già dirigente dell’Area Rifiuti della Regione Lazio, e Raniero De Filippis, responsabile del Dipartimento del territorio della Regione Lazio. Fegatelli è indicato nell’ordinanza come una sorta di “referente politico” di Cerroni e, per l’accusa, avrebbe più volte tentato di inquinare le prove.
Ma c’è un altro capitolo della vicenda forse anche più oscuro e preoccupante, che ora i pm vogliono chiarire. Ed è l’inquietante episodio del furto della prima richiesta d’arresto per Cerroni e gli altri sei. La sparizione avvenne dall’ufficio del gip e il magistrato se ne accorse solo a luglio. Oggi sul fatto si è espressa anche il ministro Cancellieri: «vediamo prima di conoscere meglio la vicenda», ha detto il Guardasigilli facendo intendere che, per ora, non è stato avviato nalcun accertamento in merito.

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